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La vittoria politica di Tsipras e Tsakalotos

Faber Fabbris 10/05/2016

Tsipras è riuscito a sopravvivere – politicamente e fisicamente – ad un assedio che avrebbe visto cadere come pedine del domino la quasi totalità dei dirigenti europei. Dimostrando che è molto più prezioso tentare di resistere (anche prendendo colpi) che rifugiarsi in una astratta ‘purezza’ delle posizioni. Auguriamoci che nuovi spazi si aprano, per la Grecia e per l’Europa, da questo capacità di resistenza

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Ieri, nove maggio, si è ufficialmente celebrata la «giornata dell’Europa». Non che tutti se ne siano accorti: l’attualità è divorata da altre, più inquietanti priorità; e d’altra parte tra nazionalismi polacchi e ungheresi, chiusura delle frontiere e estreme destre in ascesa, l’Europa non ha molto da festeggiare. Il nove maggio 1950 Robert Schuman, ministro degli esteri francese, annunciava la creazione della comunità europea del Carbone e dell’Acciaio. In quel discorso, Schuman parlava di “pianificazione della produzione”, di “investimenti industriali e di sviluppo”, per migliorare le condizioni della produzione, incrementare le capacità di spesa e “aumentare il livello di vita e finanziare opere pacifiche”.

La vittoria politica di Tsipras e Tsakalotos

Lasciamo al lettore la valutazione di quanto l’agenda economica di oggi si sia allontanata dal ‘programma iniziale’. Chissà se i ministri delle finanze riuniti a Bruxelles, per l’Eurogruppo sulla Grecia, hanno pensato a Schuman e alla pianificazione industriale. Forse no, ma in qualche modo la coincidenza delle due date ha involontariamente propiziato la riunione di ieri. Dopo mesi di massacranti trattative, di rinvii senza fine, e accuse di inconcludenza a Tsipras, la situazione si è infine sbloccata. In sostanza l’Eurogruppo di ieri ha stabilito due punti importanti. Il primo riguarda la (stramaledettissima) prima valutazione dell’attuazione del programma di ‘riforme’ (alias consolidamento fiscale) avviato da Atene. I creditori hanno dovuto lasciare presa su Tsipras, perché la riforma del sistema previdenziale e fiscale è stata votata, senza perdite per la maggioranza, tra sabato e domenica. E per di più, i dati di Eurostat hanno confermato che la posizione finanziaria di Atene è migliore delle previsioni (europee e americane). Insomma non si può più dire che “Atene ha ancora molto da fare”, “la palla è nel campo della Grecia”, e che “Tsipras deve dimostrare…” etc. etc. Il secondo punto riguarda le questioni connesse del debito e della previsione di avanzo primario. Per la prima volta l’eurogruppo ha esplicitamente ammesso la necessità di una ristrutturazione del debito greco, immaginiamo con grande disappunto di Schauble, respingendo tuttavia la domanda insistente del FMI per misure aggiuntive “ex ante” (cioè misure economiche da votare in via preventiva). Questo è un punto focale, perché accettare queste misure sarebbe equivalso a far pagare ai cittadini greci l’incertezza delle stime del’FMI (che prevede un avanzo primario dell’1,5% per dicembre 2018 anziché del 3,5%, come prevede la Commissione e la BCE – e per questo vorrebbe ‘essere sicuro’ con ulteriore austrerità). Atene ha proposto invece di introdurre meccanismi automatici di correzione del bilancio (clausola tipo “zero deficit”, già suggerita da Varoufakis nel corso della trattativa 2015) il cui perimetro però sarà eventualmente deciso da Atene (niente tagli a spese strategiche come la difesa, la scuola, la sanità, per esempio) e con ritmo di verifica annuale (alcuni avevano preteso trimestrale).

La fine di un’epoca?

Le riforme di pensioni e fisco sono state impostate su un difficile equilibrio che risparmia però le fasce deboli della popolazione. Facendo i salti mortali, Tsakalotos (ministro delle finanze) e Katrougalos (ministro del lavoro) sono riusciti a salvare le pensioni più basse e a evitare nuovi tagli sugli importi erogati. Sul fisco, la Grecia è riuscita a far accettare una soglia di esenzione piuttosto alta (poco più di 9000€ per una famiglia tipo), punto sul quale la resistenza dei creditori è stata enorme. Addirittura qualcuno aveva ventilato che il voto delle due riforme prima del consenso del quartetto sarebbe stata un’azione unilaterale che Atene non avrebbe dovuto permettersi. Diciamo che le rivelazioni sulla vera strategia del FMI (con Thomsen e Velculescu che parlano al telefono di come portare Atene alla bancarotta) hanno forse indotto a più miti consigli (”forse è meglio che ci stiamo zitti” avrà pensato -opportunamente- qualcuno). Tsipras ha dunque cercato di mantenere il baricentro sul quale era stato rieletto in settembre: risanare il bilancio nazionale; ripartire il carico fiscale in modo più giusto; conservare -e addirittura accrescere leggermente- la capacità di spesa delle fasce di reddito più basse (che per la legge di Engel sono quelle che spendono di più). Insomma cercare, nello strettissimo spazio di manovra concesso dal reale, di orientare le politiche economiche in senso anticiclico. La riapertura della questione del debito ha anch’essa una valenza politica enorme, oltre che un senso preciso dal punto di vista dell’equilibrio finanziario. Non ci spingeremo a dire che si tratta della fine di un’epoca (il male è notoriamente duro a morire, e per esempio l’esborso dell’ “aiuto” è stato rinviato al 24 maggio, in concomitanza con l’auspicata presa di posizione dell’FMI, che ancora tentenna, ma che è ormai in minoranza, al contrario di un anno fa). Ma Tsipras è riuscito a sopravvivere – politicamente e fisicamente – ad un assedio che avrebbe visto cadere come pedine del domino la quasi totalità dei dirigenti europei. Dimostrando che è molto più prezioso tentare di resistere (anche prendendo colpi) che rifugiarsi in una astratta ‘purezza’ delle posizioni. Auguriamoci che nuovi spazi si aprano, per la Grecia e per l’Europa, da questo capacità di resistenza.

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