Ogni musulmano è un terrorista?

di John Battista

Pubblicato il 2015-01-19

È davvero la fede in Allah il nostro nemico? La storia del terrorismo islamico ci insegna che c’è scarsa correlazione con la religione. il vero pericolo è rappresentato dal fanatismo e dal fondamentalismo, che si prestano ad essere utilizzati per scopi di tutt’altra natura

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Davvero la fede in Allah è il nostro nemico?
L’attacco terroristico al settimanale satirico Charlie Hebdo e le ore di terrore che hanno segnato la caccia agli attentatori nell’area metropolitana di Parigi, descritti come “l’11 settembre europeo” (evidentemente qualcuno ha già dimenticato gli attacchi a Londra nel 2005 e quelli a Madrid nel 2004) hanno riportato alla ribalta la questione della possibilità e opportunità di un rapporto di pacifica coesistenza dell’islamismo all’interno di un’Europa laica dal punto di vista sociale e cattolica sotto il profilo della storia religiosa. Le urla “Allah è grande”, con le quali i terroristi hanno scandito i colpi di Kalashnikov che freddavano le loro vittime, hanno dato una parvenza di ragionevolezza alle tesi di chi è contrario alla politica di integrazione nei confronti dei milioni di musulmani immigrati in questi ultimi anni un po’ in tutta Europa, consentendo di affrontare il tema persino in quei salotti televisivi dai quali questo tipo di dibattito è generalmente bandito.
I contrari all’integrazione (che peraltro tacciono che la loro xenofobia si estende sovente anche agli immigrati di fede cattolica, come i Rom) sostengono che il Corano, il testo sacro che detta i principi dell’islamismo, predica la violenza come strumento legittimo e necessario per imporre quella religione nei confronti di tutte le altre, incitando senza mezzi termini allo sterminio dei miscredenti e imponendo regole sociali incompatibili con i principi a cui si ispirano le democrazie occidentali. E parlano apertamente di una vera e propria guerra di religione che ha l’obiettivo di imporre la religione islamica in tutto il mondo.
I favorevoli all’integrazione (che talvolta sono inclini a indulgere nei confronti dell’islamismo molto più di quanto non lo siano nei confronti del cattolicesimo) sostengono che l’islamismo non può essere rappresentato da una minoranza di terroristi integralisti fanatici e che la stragrande maggioranza dei musulmani non rappresenta alcun pericolo per la nostra civiltà. Sottolineano che il Corano, interpretato correttamente, è un testo che profonde pace e amore.

Diffusione geografica delle religioni
Diffusione geografica delle religioni

CHI HA RAGIONE?
Partiamo dal Corano. Tutti ne parlano, ma spesso senza conoscerlo affatto. Il Corano è il testo sacro che raccoglie, secondo la religione islamica, le rivelazioni e gli insegnamenti che Maometto ricevette da Dio per il tramite dell’Angelo Gabriele. Sta di fatto che Maometto morì nel 632 e pochi anni dopo le sue rivelazioni furono trascritte e accorpate in unico testo, il Corano. Quest’ultimo è composto da 114 “sure” e ciascuna “sura” è composta, a sua volta, da un certo numero di versetti. E qui nasce il primo problema di interpretazione. Nel testo ufficiale le sure sono raccolte in ordine decrescente di grandezza, dalla più lunga alla più corta. Questa sequenza, secondo alcuni studiosi, non corrisponderebbe all’ordine cronologico con cui le sure sono state rivelate nel tempo. Ordinando cronologicamente il testo, invece, cambierebbe completamente la sua interpretazione. Così se è vero che nella sura 9 c’è scritto: “…uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati…” e “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finchè non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati” è anche vero che nella sura 2, versetto 256, c’è scritto: “Non c’è costrizione nella religione”. Ciò significherebbe che il Corano disapprova che la religione venga imposta a chicchessia, tutto sta a interpretare correttamente il testo e a disporre le sure nella sequenza corretta. A ciò, poi, bisognerebbe aggiungere le diverse “letture” autorizzate, ciascuna delle quali offre interpretazioni diverse a seconda di come vengono collocate le pause nelle frasi.
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Foglio pergamenaceo di un Corano d’età abbaside (Egitto, IX-X secolo) (Foto da: Wikipedia)

La teoria dell’interpretazione, invero, convince poco. Nell’esempio citato, infatti, non sembra che la sura 2 sia successiva cronologicamente rispetto alla sura 9. E leggendo l’intero versetto 256 si scopre che il testo completo recita: “Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolo e crede in Allah, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente”. Il senso del versetto, quindi, non sembra quello di vietare l’imposizione violenta della religione, ma quello di negare ogni giustificazione a chi non la segua, in quanto la religione si limita a illustrare la “retta via” che chiunque è in grado di riconoscere.
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Riproduzione del Corano, con commento (tafsīr) in margine (foto da: Wikipedia)

PICCOLA STORIA DEL TERRORISMO ISLAMICO
Due sono gli eventi cruciali che hanno segnato la nascita e lo sviluppo del terrorismo islamico: il primo è quello della nascita dello Stato di Israele con la conseguente questione palestinese; il secondo è stato l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica nel 1979, che ha innescato la nascita di Al-Qaeda.
Nel 1948, per decisione dell’ONU, in Palestina avrebbero dovuto sorgere uno stato ebraico (Israele) e uno arabo-palestinese, con Gerusalemme sottoposta a controllo internazionale. Ciò non avvenne perché da subito Israele e la Lega Araba entrarono in guerra e nei vari conflitti che ne seguirono Israele mise a segno una vittoria militare dopo l’altra, consolidando la propria sovranità e occupando e colonizzando numerosi territori originariamente assegnati ai palestinesi. Questo lungo conflitto fu ben presto attratto nelle logiche della Guerra Fredda e del controllo strategico delle risorse petrolifere del Medio Oriente, per cui gli Stati Uniti e il mondo occidentale si schierarono a favore di Israele, mentre l’Unione Sovietica e buona parte dei paesi arabi e islamici si schierarono contro Israele e a favore dei palestinesi. Nel 1972 un gruppo di terroristi filo-palestinesi denominato Settembre Nero prese in ostaggio e uccise gli atleti israeliani che partecipavano alle Olimpiadi di Monaco, segnando l’inizio di una campagna terroristica finalizzata a colpire la nazione ebraica e in particolare Israele, anche nei paesi o contro i paesi occidentali loro alleati. In quella fase, però, il terrorismo operava come estensione del conflitto (militare e civile) arabo-israeliano, piuttosto che come esplicazione armata del fondamentalismo islamico.
Nel frattempo, però, in Egitto si era consolidato un movimento integralista, la Fratellanza Musulmana, che predicava il fondamentalismo e l’uso della violenza e che si diffuse a macchia d’olio nelle università islamiche e nelle moschee in tutto il mondo, sfociando nella rivoluzione iraniana del 1979 che portò alla caduta dello Scià (tradizionale alleato degli Stati Uniti) e all’instaurazione di una teocrazia islamica.  Era inevitabile che il terrorismo in chiave filo-palestinese e il neo fondamentalismo musulmano dovessero incontrarsi e fondersi e l’elemento catalizzatore fu l’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Lì operarono, contro i russi, numerosi gruppi di combattenti islamici che venivano arruolati in tutto il mondo. Uno di questi gruppi, finanziato dallo sceicco Osama Bin Laden, si evolse nella rete terroristica tristemente nota con il nome di Al-Qaeda. In Afghanistan si realizzò la fusione tra guerriglia e fondamentalismo islamico perché i combattenti venivano arruolati nelle moschee e indottrinati a considerare il conflitto come Guerra Santa, la Jihad, tanto da essere definiti Mujahideen. Il principio della guerra in nome di Allah fu portato a un livello di esaltazione ancora più elevato con l’introduzione dell’anelito al martirio, porta di accesso al paradiso islamico, e ciò avvenne nel corso della guerra tra Iran e Irak e precisamente nel 1981, quando è registrato il primo caso di attacco suicida da parte di un ragazzino iraniano di soli tredici anni che si fece saltare in aria sotto un mezzo corazzato iracheno. Dopo quell’episodio, migliaia di altri giovanissimi iraniani si sacrificarono correndo attraverso i campi minati iracheni per aprire la strada ai soldati durante le azioni di attacco. Due anni dopo, nel 1983,  ebbero luogo i primi attentati terroristi suicidi connessi alla questione palestinese. Ad aprile fu colpita con un’autobomba suicida l’ambasciata americana a Beirut, uccidendo una sessantina di persone e a ottobre due camion imbottiti di materiale esplosivo e condotti da altrettanti kamikaze distrussero gli acquartieramenti dei contingenti militari americano e francese a Beirut, provocando circa 300 vittime. A dicembre di quello stesso anno altri attacchi suicidi colpirono obiettivi americani, francesi e governativi in Kuwait.
Negli anni successivi gli attacchi terroristici si concentrarono contro obiettivi israeliani nel mondo e fra questi si colloca la strage di Fiumicino del 1985 (a proposito, qualcuno ricorda che il capo del commando che uccise dieci civili innocenti, è uscito libero dalle carceri italiane dopo soli 23 anni di prigione…?).
La stagione degli attacchi suicidi indiscriminati, però, si aprì dopo la Prima Guerra del Golfo, nel 1991, quando l’Arabia Saudita respinse la proposta di Osama Bin Laden di utilizzare i mujahideen per liberare il Kuwait invaso dagli iracheni e preferì chiedere l’intervento militare di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Fu allora che Al Qaeda dichiarò guerra agli USA e ai suoi alleati, con un’offensiva che ebbe inizio nel 1993 con l’attentato esplosivo al Word Trade Center e apice negli attacchi dell’11 settembre 2001. All’Europa toccò nel 2004 e nel 2005, con gli attentati a Madrid e a Londra.
La sura Aprente nella prima edizione comparsa in Italia, a Venezia, del 1537 (foto da: Wikipedia)
La sura Aprente nella prima edizione comparsa in Italia, a Venezia, del 1537 (foto da: Wikipedia)

QUESTIONE DI RELIGIONE?
Se esaminiamo senza pregiudizi l’intera questione alla luce della storia del terrorismo islamico e della Jihad in generale, noteremo che buona parte degli eventi hanno ben poco a che fare con la religione. Dopo il ritiro dei sovietici dall’Afghanistan, divampò una sanguinosa guerra civile tra le varie fazioni che si contendevano il controllo del paese. Mujahideen contro mujahideen, islamici contro islamici. I vari gruppi contrapposti erano spalleggiati da diversi paesi e lobby. Alla fine i Talebani, che erano addestrati e armati dal Pakistan e finanziati dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita (gli stessi che riconobbero il loro regime), ebbero la meglio sul loro principale avversario, lo United Islamic Front  appoggiato da Russia, Turchia, India, Cina e Iran. Più che la fede in Allah, quindi, furono ben più concreti interessi politici ed economici ad alimentare quella guerra.
Le azioni militari e terroristiche finalizzate a colpire Israele e i suoi alleati, dal loro canto, si collocano in un contesto nel quale la contrapposizione tra palestinesi e israeliani non è di natura religiosa. Dato che per un islamico è miscredente l’ebreo tanto quanto il cristiano (anzi, il cristiano ancor più perché il Corano considera il cristianesimo una religione politeistica per via del suo Dio trino con Cristo e Spirito Santo), da un punto di vista strettamente religioso non si comprenderebbe perché i palestinesi odierebbero gli ebrei e non i cristiani. Molte migliaia di cristiani, infatti, dimorano  in quelle aree e rappresentano quasi la metà della popolazione libanese. In realtà le organizzazioni terroristiche che operano contro Israele hanno riferimenti ben precisi. Hezbollah e Hamas, ad esempio, sono finanziate, armate e addestrate dall’Iran e dalla Siria, gli stessi stati che sono in guerra aperta contro l’ISIL, l’autoproclamato Stato Islamico che controlla ampie porzioni dei territori iracheni e siriani.
Persino Al-Qaeda ha preso le distanze dall’ISIL accusandola di aver ucciso i leader di altre organizzazioni combattenti islamiche con le quale si contendeva il controllo di alcune aree e questa circostanza costituisce un’ulteriore conferma del fatto che dietro la guerra santa islamica si nascondono brame di potere che hanno ben poco da invidiare a quelle tipiche degli “infedeli”.
D’altro canto, il sanguinoso attacco contro Charlie Hebdo del 7 gennaio scorso sembra causato solo da questioni religiose: il periodico aveva pubblicato vignette “oltraggiose” sul Corano, su Maometto e su Allah. C’è però un fatto che quasi nessuno (se non nessuno) ha notato: pochi giorni prima dell’attacco era stata diffusa la notizia che per la prima volta la Francia avrebbe processato militanti islamici algerini per crimini commessi durante la guerra civile in Algeria, dove invece vige una sorta di immunità per i reati commessi in quel periodo. Dato che i terroristi responsabili della strage del 7 gennaio sono di origine algerina ancorché nati in Francia, è lecito chiedersi se l’attacco possa aver avuto anche questa concausa.
In conclusione, è senz’altro vero che il Corano è un testo religioso decisamente minaccioso ma resta il fatto che il vero pericolo è rappresentato dal fanatismo e dal fondamentalismo, che ben si prestano ad essere utilizzati per scopi di tutt’altra natura. Per difendersi è necessario adottare misure severe contro ogni forma di fondamentalismo e pretendere il rispetto delle nostre leggi e del nostro stile di vita, due punti sui quali siamo stati troppo indulgenti in questi anni, senza però debordare sul piano di una guerra di religione che non ci appartiene (e che semmai è un problema interno allo stesso islamismo, viste le guerre fratricide tra le varie fazioni, prime fra tutte quelle Sciite e Sunnite). Ma non si può nemmeno prescindere dall’individuare i burattinai, ossia coloro che appoggiano, finanziano e fomentano il fondamentalismo. E’ indispensabile andare a monte del problema e porre senza mezzi termini la questione di quei paesi che giocano su un doppio binario: da un lato si proclamano contrari al terrorismo e dall’altro foraggiano i gruppi fondamentalisti che lo generano. Non dobbiamo fare nessuna guerra di religione ma abbiamo il diritto e il dovere di pretendere che tutti facciano la propria parte nel contrastare, e se necessario reprimere, il fondamentalismo, a partire dai ricchi paesi arabi da dove provengono gran parte dei fondi che alimentano le organizzazioni fondamentaliste islamiche.

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