Storie di ordinarie molestie (che devono subire le donne in strada)

di Maria Teresa Mura

Pubblicato il 2020-07-08

Francesca da anni subisce “approcci” violenti e minacce quando non addirittura vere e proprie violenze fisiche in strada. Non importa come sia vestita: le succede ripetutamente. Allora decide di ribellarsi e scrive un post su Instagram. E tante persone le cominciano a scrivere per raccontarle storie ancora più orribili

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Francesca vive a Bologna da due anni e purtroppo preferisce passeggiare. “Purtroppo” perché, come ha raccontato lei stessa su Instagram, visto che non ha una macchina e non usa i mezzi si muove prevalentemente a piedi e questo la sta esponendo da tempo a una serie di molestie quando non addirittura a tentativi di violenza. La cosa più orribile però è che ci si sta abituando: «Mi sono abituata a sentirmi dire e urlare dietro qualsiasi cosa, e so che è terribile da dire ma me ne sono fatta una ragione».

Storie di ordinarie molestie (che devono subire le donne in strada)

Ma qualche giorno fa, ha raccontato, le è successa una cosa peggiore: «Ore 19,15, faccio la stessa strada veloce di sempre per attraversare la città; al semaforo un uomo mi chiede informazioni per raggiungere un locale. Tolgo le cuffie, gli spiego la strada e torno a camminare rimettendomi le cuffie ma senza musica, per passare il messaggio “no, non voglio parlare. Parte il classico: “Sei fidanzata?”. Ed ovviamente la risposta è sì, perché a quanto pare l’unico modo per non farsi importunare è ammettere di essere già proprietà di altri uomini». Ma la storia purtroppo non finisce qui. Il tizio continua a inseguirla e comincia a chiederle di offrirà un caffè. Al suo diniego la prende per il polso e inizia a dire “se non accetti mi metto a urlare davanti a tutti”: «Non è la prima volta che mi toccano in questo modo per strada, sicuramente non sarà l’ultima, ma mi sarei anche un po’ rotta il cazzo di sentirmi così vulnerabile alla mercé di qualcuno che semplicemente non mi rispetta», dice. «Ditemi una cosa, è divertente? È così bello vedere che la persona davanti a voi sta andando nel panico?».  E poi lancia una sfida: «Quindi amiche, iniziate a parlarne, ma non con altre ragazze e basta, inizate a cagare il cazzo su Instagram, a cagare il cazzo ai vostri amici. Quindi amici, io lo so che voi non siete così, ma dovete iniziare ad aiutarci, perché battaglie di questo genere non possiamo portarle avanti da sole. Prendete una posizione, parlatene con i vostri amici, insultateli se si comportano così. Perché se lo faccio io mi sento rispondere “sono solo complimenti”, ma non lo sono. Sono molestie. Se lo fate voi beh, inutile negarlo, avete più potere».

E qui succede una cosa “ironicamente bella”, come dice lei stessa. Ovvero che dopo la pubblicazione del suo sfogo personale su Instagram tante persone le hanno cominciato a scrivere: «Mi hanno scritto ragazze e ragazzi, mi hanno raccontato le loro storie, ma questa è solo la punta dell’iceberg. Io stessa ho raccontato solo l’episodio più recente, e neanche il peggiore, e ne conosco tanti, tanti altri che non posso raccontare perché non mi riguardano in prima persona».

Le donne che si vergognano e gli uomini che stuprano

Le storie che Francesca ha raccolto e pubblicato via via su Instagram prima e su Facebook poi le risposte che le sono arrivate alla storia pubblicata su Instagram. E molte sono agghiaccianti: «Un tipo in macchina si è fermato a chiedermi indicazioni e mentre guardavo il cellulare dargliele ho alzato lo sguardo e si stava masturbando. Non so perché non mi sia mai venuto in mente di raccontarlo». «Ero sull’autobus per tornare a casa e un uomo ha allungato una mano sulla mia coscia; solo in quel momento mi è venuta la forza di reagire e di suonare il campanello per scendere. Scende anche lui, comincia a seguirmi, accelero il passo, poco prima di arrivare a casa mi tocca una spalla e mi dice: “Tanto ti ritrovo”. Questa cosa è successa sei anni fa ma da quel giorno non ho più preso il bus da sola e per anni ho avuto paura di trovarmelo sotto casa». «Un ragazzo che conoscevo mi ha chiesto di parlare con una scusa, mi ha tirata per un braccio e mi ha chiusa in macchina. Si è spogliato chiedendomi di toccarlo, io continuavo a urlare ma lui non mi lasciava andare… poi ha preso le chiavi della mia macchina e se le è messe nelle mutande dicendomi “se vuoi tornare a casa devi riprenderle”». «Avevo nove anni, mi ricordo ancora la gonna che stavo indossando mentre un signore scendendo dall’autobus mi ha praticamente tirato giù le mutande…  ero con mia nonna e nessuno se ne è accorto. Sono rimasta zitta e immobile perché mi vergognavo». «Avevo dodici anni. Esco con questi ragazzi più grandi di me e uno inizia a toccarmi. Io non mi sono resa conto di cosa stesse succedendo, praticamente mi ha fatto un d*talino. Non l’ho mai visto come uno stupro perché non avevo idea di cosa stesse succedendo: ho rimosso il ricordo per ricordarmelo quando sono diventata maggiorenne». «Un anno fa un autista del corriere fermò il furgone davanti a me, bloccandomi la strada, scese e mi chiese insistentemente di andare con lui, perché a quanto pare “gli piacevo molto” e mi avrebbe dato “dei regali” se fossi andato con lui». «Ne ho sentite talmente tante che ormai anche io, uomo, quando vedo una ragazza da sola su un marciapiede tendo ad allontanarmi e spostarmi dall’altra parte della strada per non darle la sensazione di essere seguita».

«Non ho la presunzione di dire che dopo questo post le cose cambieranno», scrive in ultimo Francesca, «ma sono bastati pochi messaggi da parte di amici che mi hanno confessato di aver preso spunto da queste storie, ragazzi che non avevano la minima idea di quanto per noi questa situazione fosse ormai la normalità, che si sono sentiti in dovere di chiedermi scusa come uomini per quello che devo vivere ogni volta che decido di mettere piede fuori casa, per farmi capire che va bene, è giusto che mi esponga un pochino se non mi vergogno a farlo». Intanto nei commenti c’è chi le scrive: “Ti chiedo scusa a nome del genere maschile. Non siamo tutti così escrementi. So che lo sai, ma bisogna scusarsi lo stesso”. Non resta che augurarselo con lei.

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