E se non fosse stato Stefano Origone come sarebbe finita a Genova?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-05-24

“Ho detto di essere giornalista, ma hanno continuato a colpirmi”, ha riferito ai colleghi. L’Italia è un Paese che ha cominciato a perdere se stesso

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Il giornalista di Repubblica Stefano Origone è stato picchiato dalla polizia a Genova durante gli scontri per la manifestazione di Casapound. “Ho detto di essere giornalista, ma hanno continuato a colpirmi”, ha riferito ai colleghi il cronista, che ha le dita di una mano tumefatte e lamenta dolori al costato. Il giornalista e’ stato portato via in ambulanza.

Stefano Origone: il giornalista di Repubblica picchiato dalla polizia a Genova

Tutto è accaduto per un comizio con il quale Casapound ha chiuso la campagna elettorale per le Europee del candidato Marco Mori. Piazza Marsala, luogo scelto dalla forza di estrema destra per il comizio, era stata blindata dalla polizia. Intorno alla piazza due manifestazioni che hanno richiamato oltre mille persone: una parte si è fermata davanti alla prefettura, altri sono arrivati a piazza Corvetto. Poco prima dell’inizio del comizio, al quale erano presenti una ventina di persone, sale la tensione. Al grido ‘Genova è solo antifascista’ i manifestanti hanno provato a forzare il blocco della polizia per entrare in piazza tirando oltre le grate alcuni fumogeni e petardi. La polizia, che aveva ‘chiuso’ il luogo del comizio con le grate antisommossa e i blindati schierando circa 300 uomini delle varie forze dell’ordine, ha subito la prima ondata ‘ammortizzata’ dalla Digos, che poi si è ritirata dietro al Reparto Mobile.

A quel punto, prima la polizia ha risposto sparando lacrimogeni anche a altezza d’uomo, poi ha compiuto una prima carica disperdendo i manifestanti, allontanandoli dai cosiddetti ‘Alari’, le grate mobili di protezione. Davanti al persistere dell’azione degli ‘antifascisti’, che hanno lanciato pietre, bottiglie e pezzi di bastoni, poliziotti e carabinieri hanno chiuso la piazza su tre lati e hanno caricato, sparando ancora lacrimogeni ad altezza d’uomo.

Carlo Bonini e il giornalismo da picchiare

Carlo Bonini su Repubblica oggi ha commentato la vicenda:

Il Capo della Polizia, Franco Gabrielli, e con lui il questore di Genova (che ha voluto personalmente visitare Origone in ospedale) hanno disposto nel giro di un’ora un’indagine interna, hanno identificato gli agenti che hanno condotto la carica, il funzionario che l’ha ordinata e consegneranno alla magistratura che procede per lesioni i risultati dell’inchiesta perché valuti se vi sia stato, e da parte di chi, un uso illegittimo o sproporzionato della forza, come il racconto di Stefano accredita («Ero a terra, urlavo, ma loro non si fermavano» ). Perché se così dovesse essere — garantisce il capo della Polizia — «non ci saranno sconti»

Un Paese che comincia a pensare che i giornalisti ma, meglio sarebbe dire, il giornalismo non è un bene di tutti, che la faccenda è materia di una corporazione inutile e spazzata via dal tempo, che, anzi, è venuto il tempo di togliersi i guanti e lasciare che qualche rompicoglioni abbia ciò che merita — in un vicolo, in una piazza, in rete — con una robusta dose di minacce (se necessario di morte) o di legnate, è un Paese che ha cominciato a perdere se stesso.

Che comincia a danzare pericolosamente su un abisso dove la logica del “redde rationem” deve progressivamente consegnare ogni presidio di libertà e chi la garantisce a una spaventosa conta. O con me o contro di me. Dove ogni mediazione salta. Dove l’informazione non ha più diritto di cittadinanza perché ormai etichettata come «serva» o «bugiarda». Dove a ogni poliziotto viene imposto di decidere in solitudine se essere moschettiere del Re o cittadino.

E dove i militanti dell’ultradestra ballano, proteggendosi con l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di espressione. Il pomeriggio di Genova è un modesto avviso. Per tutti. E che un giorno, speriamo non arrivi mai, nessuno dica di non essersene accorto.

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