Sindrome sgombroide: il mal di sushi che ha colpito Milano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-10-06

Secondo l’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi è sbagliato collegare i malori registrati al consumo di cibo giapponese. Molti casi segnalati a Milano, ma le intossicazioni curate non sono in grande aumento

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Si chiama sindrome sgombroide ed è una patologia semiallergica di cui si soffre quando si mangia pesce alterato. I sintomi sono mal di testa, nausea, rossore sul viso e sul collo, qualche volta addirittura la sensazione di soffocamento. E siccome i casi a Milano sono in aumento, al punto che si moltiplicano le denunce presentate alla magistratura dal Nucleo anti sofisticazioni dei carabinieri, il dito è puntato sul sushi e più in generale sul pesce ingerito crudo.

Sindrome sgombroide: il mal di sushi che ha colpito Milano

Ma secondo l’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi è sbagliato collegare i malori registrati al consumo di cibo giapponese, che, se fatto in ristoranti con proprietario e chef realmente di origini nipponiche, non sottopone i clienti a questo tipo di rischio grazie ai controlli severi imposti alla provenienza, il trasporto e la lavorazione del pesce crudo. “Non ci si può improvvisare ristoratori giapponesi e non ci si può improvvisare ristoratori, anche italiani, che trattano il pesce crudo”, spiega Annalena De Bortoli, portavoce dell’Airg. “Per fortuna i controlli funzionano e questi casi sono stati segnalati”, continua De Bortoli. “Associare l’aumento di casi di persone finite in ospedale al consumo di cibo giapponese è però sbagliato”, insiste, “nessuno di questi episodi si è verificato in un ristorante giapponese (ma in ristorante che trattano pesce crudo, alcuni ‘alla giapponese’)”. Secondo De Bortoli, è, inoltre, scorretto associare al sushi in se’ questa sindrome che causa nausea, mal di testa, rossore e, nei casi più gravi, anche edema. Il sushi infatti – sottolinea – è un piatto che si puo’ cucinare con diversi tipi di pesce; invece la sgombroide si prende solo dal tonno o altro pesce azzurro conservato male. “Il modo migliore per evitare rischi comunque e’ recarsi in ristoranti dove vi e’ una pratica consolidata nel trattare questi ingredienti – continua -. È un problema legato a tutta la filiera, a partire dalla provenienza, dal trasporto e dalla lavorazione. Alcuni ristoranti, come certi ‘all you can eat‘ sono a rischio perché acquistano merce che ha prezzo inferiore la cui provenienza non e’ chiarissima. Altri sono corretti: risparmiano offrendo solo tre tipi di pesce anziche’ trenta”. “Il pesce crudo è una materia prima delicata che va trattata in tutti i suoi passaggi con estrema cura e spesso il prezzo basso indice che il pesce non e’ stato trattato come di dovere – conclude -. Noi forniamo un marchio di garanzia di qualità: in tutti i nostri ristoranti vi è un controllo rigido dei metodi approvvigionamento e trattamento. Se un ristorante è autenticamente giapponese, il proprietario e lo chef sono giapponesi, non vi sono rischi: uno chef giapponese con dieci anni di formazione non è nemmeno in grado di manneggiare pesce a rischio, cosi’ come un cuoco italiano non metterebbe la margarina nella pizza”.

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La sindrome sgombroide (da Empillsblog)

L’allarme a Milano

Se nel 2014, infatti, le intossicazioni da sindrome da sgombroide erano state in tutto 45 e nel 2015 erano salite a quota 47, solo nei primi 9 mesi del 2016 sono già a quota 42. La sindrome da sgombroide, ribattezzata con una definizione più popolare ‘mal di sushi’, “è proprio come una reazione allergica – spiega all’AdnKronos Salute Maurizio Vecchi, responsabile della Gastroenterologia del Policlinico San Donato – Pesci come lo sgombro o il tonno, e in generale il pesce azzurro, contengono istidina. Se a causa della cattiva conservazione si creano dei batteri, questi metabolizzano l’istidina in istamina, una sostanza rilasciata appunto nelle crisi allergiche. Il problema riguarda non tanto il sushi ma il pesce mal conservato, e a quel punto non importa la versione in cui si consuma, perché l’istamina e i suoi derivati non vengono eliminati se si cuoce o si congela il prodotto”. In pratica, prosegue Vecchi, la sindrome è scatenata da “un avvelenamento da istamina. E i sintomi si hanno poco dopo l’assunzione in tutti coloro che hanno condiviso lo stesso pesce” ‘avvelenato’. Sintomi che vanno “dal rash cutaneo tipo orticaria, ai disturbi gastrointestinali quali nausea, diarrea e vomito, fino a disturbi di tipo neurologico come mal di testa e formicolii e, in casi più estremi, anche a crisi molto gravi con pressione bassa e svenimento”. Una condizione di malessere che generalmente “è fugace e nel giro di 24 ore al massimo si esaurisce. Non solo: questi sintomi sono ben trattati con antistaminici”.

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