Severino Antinori e la storia dei mille euro per gli ovuli

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-05-15

L’avvocato del professore racconta tutti i dubbi sulla testimonianza della donna che ha messo nei guai il ginecologo. Intanto però spuntano le accuse di una ragazza brasiliana: mille euro per le donazioni e compensi non corrisposti

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È rimasto alcune ore in ospedale Severino Antinori. Il ginecologo ha avuto un malore nella sua casa, dove da ieri è ai domiciliari con l’accusa di lesioni aggravate e rapina ai danni di un’infermiera spagnola di 24 anni a cui avrebbe forzatamente prelevato gli ovuli per impiantarli ad altra paziente il 5 aprile scorso nella clinica Matris di Milano. Dall’ospedale richiama al telefono e si dice addolorato “per accuse ingiuste che mi stanno uccidendo. Mi sento come Enzo Tortora”. La sua verità la racconterà nei prossimi giorni al gip (non si sa se per rogatoria) che ha disposto l’arresto in casa con le accuse di lesioni aggravate e rapina: quest’ultimo reato sia in riferimento al prelievo degli ovuli, sia per il telefono cellulare che sarebbe stato sottratto alla donna la quale, il 5 aprile scorso, aveva dato l’allarme da un telefono dalla clinica Matris, ora sequestrata dal Nas dei carabinieri.

Severino Antinori: 

L’avvocato Tommaso Pietrocarlo, che fa parte del collegio difensivo, fa rilevare alcune “anomalie” nella vicenda: in particolare una lettera che la 24enne, tramite un legale dell’ associazione che affianca il Soccorso Violenza Sessuale e Domestica della Clinica Mangiagalli – dove la donna era stata portata e dove le erano stati riscontrati l’ asportazione degli ovuli ed ecchimosi compatibili con un immobilizzazione – scritta per chiedere “il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato” come infermiera, “e il reintegro, pur non essendo dipendente” e un relativo risarcimento danni”, altrimenti avrebbe intrapreso iniziative legali. Con quella lettera, che non sembra sia ancora stata acquista agli atti dell’inchiesta, la donna intendeva “ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro che si svolgeva in nero”, spiega l’avvocato che l’assiste, Roberta De Leo, anch’ella della Onlus Svs Dad (Soccorso violenza sessuale e domestica, Donna aiuta donna) la quale ha precisato che la lettera “riguarda il diritto del lavoro” e non invece il procedimento penale. Tra le “anomalie” fatte rilevare dalla difesa nella vicenda, di cui il ginecologo aveva parlato a Pomeriggio 5 con Barbara D’Urso, dopo aver subito una perquisizione, il fatto che l’infermiera avesse firmato un modulo di adesione al programma di ovulodonazione, poi un consenso informato, “dopo aver avuto il supporto di una psicologa che ne attestò la consapevolezza della scelta e la mancanza di problematiche”. Pietrocarlo aggiunge che, dagli atti, si evince che la donna avrebbe riconosciuto la sottoscrizione di due moduli “molto dettagliati dell’11 e del 14 marzo e non quello del 5 aprile”, giorno dell’intervento che sarebbe dovuto servire a rimuovere una cisti ovarica e che si sarebbe trasformato nella rapina. Allo stato non sarebbero emerse evidenti connessioni con un’altra inchiesta milanese cominciata un anno fa: un decina di donne, assistite dall’avvocato Gianni Pizzo, aveva denunciato di aver avuto una promessa di denaro da Antinori (circa mille euro) per consentire il prelievo degli ovuli. Non avevano ricevuto la somma perché, dopo l’operazione, era stato detto loro che non si potevano utilizzare, ma anche in quel caso il sospetto è che fossero stati impiantati invece ad altre clienti della clinica. Qualcuna disse anche di aver subito avance sessuali nella struttura.

La versione dell’infermiera

Il Corriere ricostruisce tutta un’altra storia a proposito della vicenda dell’infermiera: gli ovuli venivano trasportati, secondo le testimonianze, nella valigia del professore e non negli appositi contenitori

Era un luogo d’illegalità ma ancor prima di dolore. Il dolo re di chi spendeva non meno di cinquemila euro, cifra che poteva salire con velocità vorticosa in caso di «imprevisti», dietro la promessa di diventare mamma e papà. E il dolore, certamente, delle donatrici di ovuli. Che a volte si sono fatte operare per superficialità o per necessità economica; ma che nella maggioranza dei casi avrebbero subito pressioni psicologiche e interventi sbagliati. In Italia la donazione di ovuli dietro ricompensa economica è vietata, qui pare fosse la regola. L’avvocato Giovanni Pizzo si occupa di una ventina di giovani — Antinori le pretendeva di vent’anni e bellissime — che negli ultimi mesi hanno denunciato la Matris (generando un’altra inchiesta della Procura). «Credo che sia solo un caso se non ci sia mai stato un decesso» dice il legale, il quale confessa d’aver ricevuto minacce di morte per essere andato contro il «sistema». Del resto Antinori gode o godeva di una ampia rete di conoscenze, amici famosi e pazienti ancor più famose, nomi da spendere. Pizzo ripete che le sue assistite hanno subito di tutto:«Provate a immaginare il peggio. Ecco, nella clinica c’era».
L’infermiera derubata degli ovuli aveva ecchimosi sul corpo provocate da lacci per tenerla ferma a letto. I pm avevano anche ipotizzato il sequestro. La ragazza aveva conosciuto Antinori in vacanza. Il ginecologo l’aveva invitata a un colloquio di lavoro. Una volta alla Matris, con la scusa di una visita medica di routine e della scoperta di una presunta cisti ovarica, era stata sedata e operata contro la sua volontà, mentre la difesa del ginecologo insiste: «Ha firmato la liberatoria, sapeva dell’operazione e ha avuto anche adeguato supporto psicologico». Tornata in Spagna la giovane ha presentato una seconda denuncia. E adesso indagano anche là. Con strumenti migliori dei nostri. L’Italia, ricorda l’avvocato della ragazza, Roberta De Leo, è ancora indietro. In Spagna potrebbero configurare il reato di traffico di organi; qui, in assenza d’altro, ci si è dovuti ancorare alla rapina, come i soldi rubati dalla cassa di una farmacia, neanche fosse stato violato il corpo d’una donna.

Repubblica invece raccoglie la testimonianza di una ragazza brasiliana che ha denunciato un caso da mercato degli ovuli:

«Mi ha spiegato che lavorava per Antinori, mi ha proposto di donare gli ovuli. Mille euro per ogni prelievo. E se avessi portato un’amica, altri 500 euro extra. Avevo una paura nera quando ho accettato. Non sapevo nemmeno cosa fosse l’eterologa».
Sapeva che, per legge, si possono donare gli ovociti solo su base volontaria?
«Erano regole stabilite da Antinori, i soldi sono suoi. Voglio dire: è uno scambio. Io avevo bisogno di denaro, lui di ovuli. In ogni caso, quando ti rendi conto che in sala d’attesa ci sono tante coppie giovani che non possono avere bambini lo fai volentieri».
Quindi avrebbe donato anche se non le avessero proposto i mille euro?
«Che discorso, no. Con tutto quello che si passa».
Perché ha deciso di denunciare Antinori?
«Mi ha imbrogliata. Dopo il primo prelievo ho ricevuto la mia busta. Dopo il secondo ciclo di bombardamenti ormonali, però, al risveglio dopo l’intervento mi hanno detto che avevano trovato solo acqua. Ma gli ovuli tre giorni prima si vedevano dall’ecografia. Non volevano pagarmi».
Venderebbe ancora i suoi ovuli, Maria?
«Non con Antinori. Ma in un altro posto, se mi aiutano economicamente, sì».

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