Cosa ha detto davvero la Cassazione sulla «scarcerazione» di Totò Riina

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-06-06

Ieri la Corte di Cassazione ha provato a spiegare al popolo italiano che esiste un “diritto a morire dignitosamente” che va assicurato al detenuto anche se il detenuto in questione si chiama Totò Riina. Il popolo italiano non l’ha presa bene. Eppure il Palazzaccio non ha deciso che Riina deve essere scarcerato. Né si è mai sognato di pensarlo

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Ieri la Corte di Cassazione ha provato a spiegare al popolo italiano che esiste un “diritto a morire dignitosamente” che va assicurato al detenuto anche se il detenuto in questione si chiama Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra, condannato per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci. Il popolo italiano non l’ha presa bene. Soprattutto: il popolo italiano ha capito che Totò Riina deve essere scarcerato. Mentre il Palazzaccio in realtà ha detto qualcosa di leggermente diverso che andrebbe compreso appieno prima di accendere i falò.

Sulla «scarcerazione» di Totò Riina

Cerchiamo prima di riassumere i termini della questione. Come sintetizza oggi il Corriere, Totò Riina ha accumulato decine di ergastoli (solo o con altri). Il primo nel ‘92, in contumacia, per l’omicidio di Emanuele Basile. Nel 1993 come mandante dell’omicidio del boss Vincenzo Puccio. Nel 1994 per l’omicidio di tre pentiti e di un cognato di Tommaso Buscetta. Nel 1995, per l’omicidio di Giuseppe Russo e anche per quelli dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, cui segue l’ergastolo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina. Dopo, Riina viene condannato di nuovo all’ergastolo per l’omicidio di Antonino Scopelliti e poi di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Boris Giuliano e di Paolo Giaccone. Nel 1997, stessa condanna per la strage di Capaci e anche per l’omicidio di Cesare Terranova. Nel 1998 ergastolo per l’omicidio di Giangiacomo Ciaccio Montalto e, nel 1999, come mandante per la strage di via D’Amelio. Negli anni 2000 nuovi ergastoli: per l’attentato in Via dei Georgofili, per l’omicidio di Alberto Giacomelli, del giudice Rocco Chinnici, per la strage di Pizzolungo, e per quella in viale Lazio.
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In tutto ciò, la difesa di Totò Riina chiede da anni che il capomafia venga posto ai domiciliari per motivi di salute. Nel rigettare le istanze per il differimento pena per motivi di salute e per la detenzione domiciliare di Totò Riina il tribunale di Sorveglianza di Bologna nel 2014 aveva ritenuto “insussistente” alcun “vulnus alla tutela del diritto alla salute del condannato”. “Quanto alla pericolosità sociale” – diceva la decisione dei giudici bolognesi – “la caratura criminale” di Riina non consentiva “una prognosi di assenza di pericolo di recidiva ove si consideri la tipologia di reati commessi, non necessariamente implicante prestanza fisica”. La condizione di detenzione di Riina – diceva allora l’ordinanza del collegio della Sorveglianza, emessa a metà giugno 2014 e poi impugnata in Cassazione dalla difesa – non costituiva “alcun ostacolo alla praticabilità degli accertamenti e degli interventi terapeutici reputati necessari dai sanitari, anche in via di emergenza, sia col ricorso al servizio di guardia medica 24 ore su 24”. Questo, “tenuto conto peraltro che il Servizio Sanitario e’ organizzato in modo uniforme a livello nazionale in termini di protocollo di pronto intervento, con adeguato percorso terapeutico anche nelle situazioni di emergenze cardiologiche”. “Il detenuto – ricordavano infine i giudici – dispone di un servizio di guardia medica 24 ore su 24 e la sezione 41 bis può contare su un medico ad essa dedicato”.

Cosa ha detto davvero la Cassazione su Totò Riina

Qui è intervenuta la Cassazione. Che ha annullato con rinvio la decisione del tribunale di sorveglianza per difetto di motivazione. Ovvero la Cassazione ha detto che il tribunale deve decidere di nuovo e che la sentenza che ha emesso non è valida. Già qui si capisce che la Cassazione non ha deciso alcuna scarcerazione di chicchesìa. Il Palazzaccio ha spiegato che il giudice nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”. La Cassazione ha detto che il giudice deve verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”. Il collegio ha ritenutoche non emerga dalla decisione del giudice in che modo si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena “il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa”, che non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”. La Cassazione ha ritenuto di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, “dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato al detenuto.
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Ma che vuol dire “per difetto di motivazione”? Come ha spiegato un campione di civiltà giuridica come Massimo Bordin – dal quale tutti dovremmo imparare – la Cassazione ha detto al tribunale che deve spiegare meglio i motivi della sua decisione se vuole sentenziare che Riina debba rimanere in carcere. Ha spiegato che la pericolosità da sola non basta come argomento, «scrive che esiste per tutti, anche per i peggiori dunque, il “diritto a una morte dignitosa”. Non si esclude che possa avvenire in carcere ma si chiede di argomentare più analiticamente».

Perché la Cassazione ha ragione e nessuno vuole Riina libero

Ora, sembra abbastanza chiaro che il tribunale di sorveglianza può ribadire, motivandola meglio, la sua decisione di lasciare in carcere Riina. E così l’apparenza sarebbe salva e tutti vivrebbero felici e contenti. E invece qualcos’altro va detto. Perché in realtà è vero che Totò Riina avrebbe diritto a vedere alleviate le sue sofferenze. Il che non significa che Riina vada scarcerato. Visto che si trova sottoposto a un (meritatissimo) regime carcerario, già il suo allentamento costituirebbe un chiaro alleviamento delle sue sofferenze. Tutto questo senza dimenticare, come ricorda oggi Attilio Bolzoni su Repubblica, che Riina è ancora il capo di Cosa Nostra e che continua a prendere in giro la giustizia italiana dicendosi pronto a parlare e poi tornando indietro sulla sua decisione come è successo nel febbraio scorso. Il problema però è che questa decisione – così come l’articolo che state leggendo – sarebbe talmente impopolare che nessuna istituzione italiana avrebbe il coraggio di prenderla. Ecco perché la Cassazione ha ragione ma nessuno vuole Riina libero (a parte i suoi familiari e i mafiosi) mentre mai come in questa occasione è chiaro a tutti che la giustizia è amministrata in nome del popolo. Meglio: del populismo.
 
 
Foto Sentenza Cassazione da Rita Bernardini su Facebook

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