Rottamare il patto di stabilità per non morire di pioggia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-11-17

I 7,6 miliardi da sbloccare nel piano Juncker sono ancora lontani. I comuni hanno fondi per i soccorsi e le ricostruzioni, ma non li possono usare. Per i parametri troppo stringenti e gli obblighi degli Enti Locali. Che però adesso rischiano di mettere in pericolo la vita dei cittadini

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La ricerca del colpevole a posteriori è il gioco più appassionante della politica italiana. Per questo ieri, a fronte dell’ennesimo caso di alluvioni che hanno bloccato il paese, è partita la guerra alla politica ambientale da rottamare da parte del governo, alla quale le regioni hanno risposto ricordando che i condoni si votano a Roma. E così, mentre ragioni e torti annegano nelle chiacchiere, l’Italia è di nuovo sott’acqua. E sforare il patto di stabilità pare l’unico modo per non morire di pioggia. O di chiacchiere.
 
LA PIOGGIA DI CHIACCHIERE
«Quando come primo atto di governo – ha detto Renzi a Sydney – ho costituito un’Unità di missione contro il dissesto idrogeologico mi hanno deriso. Ora spero sia chiaro il motivo: ci sono vent’anni di politiche del territorio da rottamare, anche in alcune regioni del centrosinistra”. Il presidente della Liguria, Claudio Burlando (che si ritrova sul groppone un miliardo di danni), ha replicato: «Il problema del territorio di cui parla il presidente del Consiglio è legato anche ai condoni edilizi. Non li ha fatti il premier e non li abbiamo fatti noi, ma sono stati fatti a Roma. Tre condoni in 30 anni». Piccata la replica anche di Maroni, per il quale «tutti hanno responsabilità su quanto successo». E poi il contrattacco: «Renzi ha un’occasione per dare una risposta concreta e fare quello che il governo si era impegnato a fare e non ha fatto», vale a dire finanziare le opere che contengano le piene del fiume Seveso a Milano, per le quali mancano 80 milioni che il governo si era impegnato a mettere nello Sblocca Italia e poi non li ha messi. Il Corriere della Sera elenca i 7,6 miliardi di grandi opere per il dissesto idrogeologico presenti nel piano da 300 miliardi di infrastrutture promesso all’epoca dell’elezione da Jean Claude Juncker, del quale per ora non ci sono tracce concrete.

L’Italia chiede in tutto 40 miliardi per 2.204 progetti che ne valgono all’incirca il doppio ma che prevedono anche il supporto finanziario della Bei, Banca europea degli investimenti, e della Cassa depositi e prestiti. I più importanti per valore riguardano le infrastrutture, l’energia e i trasporti mentre i più numerosi — 1.956 —proprio la prevenzione dei rischi idrogeologici,cioè i dissesti, le frane, le esondazioni, le piene che da settimane stanno provocando danni enormi in Liguria, in Lombardia ma non solo e purtroppo anche vittime, 12 negli ultimi 70 giorni.I progetti, sempre che il piano italiano sia integralmente accolto dalla Commissione europea, saranno attivabili comunque nel prossimo triennio e dovranno essere avviati, con l’apertura dei primi cantieri nel corso del 2015.

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Gli interventi urgenti contro il rischio idrogeologico in Italia (Corriere della Sera, 17 novembre 2014)

Tutti progetti che attendono un ok, e che senza quell’ok non si potranno muovere. Ma la via teorica non ha mai fermato le alluvioni. Per questo sul tema dei fondi, Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto che agli amministratori sia permesso di sforare il Patto di stabilità interno per le opere di messa in sicurezza del territorio. Intanto in vista di un eventuale decreto con le misure in favore delle zone alluvionate.
 
COS’È IL PATTO DI STABILITÀ DA SFORARE
«E’ assurdo che, pur essendoci la disponibilità di fondi, gli amministratori non possano usarli per tutelate le vite e i beni dei loro cittadini. Invito il Governo ad una urgente presa in carico. Bisogna evitate il consueto balletto di scarico delle responsabilità, occorre una strategia condivisa ed un patto governo-regioni ed enti locali per far fronte ad un piano di interventi per questa emergenza. Serve cioè un’attivazione – ha aggiunto Chiamparino – del piano nazionale di prevenzione dal rischio idrogeologico con adeguati strumenti normativi, dove sia chiaro chi fa e che cosa, e conseguenti risorse». Il Patto di Stabilità nasce dall’esigenza di convergenza delle economie degli Stati membri della UE verso specifici parametri, comuni a tutti, e condivisi a livello europeo in seno al Patto di stabilità e crescita e specificamente nel trattato di Maastricht (Indebitamento netto della Pubblica Amministrazione/P.I.L. inferiore al 3% e rapporto Debito pubblico delle AA.PP./P.I.L. convergente verso il 60%). L’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione (P.A.) costituisce, quindi, il parametro principale da controllare, ai fini del rispetto dei criteri di convergenza e la causa di formazione dello stock di debito. L’indebitamento netto è definito come il saldo fra entrate e spese finali, al netto delle operazioni finanziarie (riscossione e concessioni crediti, partecipazioni e conferimenti, anticipazioni), desunte dal conto economico della P.A., preparato dall’ISTAT. Un obiettivo primario delle regole fiscali che costituiscono il Patto di stabilità interno è proprio il controllo dell’indebitamento netto degli enti territoriali (regioni e enti locali). La definizione delle regole del patto di stabilità interno avviene durante la predisposizione ed approvazione della manovra di finanza pubblica; momento in cui si analizzano le previsioni sull’andamento della finanza pubblica e si decide l’entità delle misure correttive da porre in atto per l’anno successivo e la tipologia delle stesse.

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