Roberto Formigoni, la detenzione domiciliare a Milano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-07-22

Alla fine, il 29 marzo, la Corte d’Appello di Milano ha respinto la richiesta, stabilendo che Formigoni dovesse rimanere in carcere. Poi qualche giorno fa, è arrivata la svolta

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Roberto Formigoni ha lasciato il carcere di Bollate, dove era detenuto dallo scorso 22 febbraio, e sconterà la sua detenzione domiciliare a casa di un medico amico, la cui offerta è stata valutata positivamente dal Tribunale di Sorveglianza di Milano che ha acconsentito alla misura alternativa. L’ex presidente lombardo è stato condannato per corruzione a 5 anni e 10 mesi di carcere nell’ambito del processo Maugeri-San Raffaele.

Roberto Formigoni, la detenzione domiciliare a Milano

L’ex governatore era stato condannato in via definitiva, il 21 febbraio scorso, a 5 anni e 10 mesi per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla clinica Maugeri. Il giorno dopo per lui si erano aperte porte del carcere di Bollate (Milano). Dopo la sentenza, la difesa aveva chiesto che l’ex governatore scontasse la pena ai domiciliari, visto che ha più di 70 anni, sostenendo che la legge Spazzacorrotti (che ha inserito il reato di corruzione tra quelli per cui non possono essere chieste misure alternative al carcere) non sarebbe retroattiva. Una tesi contestata dalla Procura generale di Milano. Alla fine, il 29 marzo, la Corte d’Appello di Milano ha respinto la richiesta, stabilendo che Formigoni dovesse rimanere in carcere. Poi qualche giorno fa, è arrivata la svolta. Formigoni si è presentato davanti al Tribunale di Sorveglianza di Milano, assieme ai suoi avvocati, per chiedere nuovamente la detenzione domiciliare. L’ex governatore ha una nuova carta da giocare: ha accettato la condanna e chiesto di essere autorizzato a fare il volontario in un convento di suore per il resto della pena. L’accettazione della condanna è indispensabile per ottenere i benefici penitenziari.

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La Corte d’Appello di Milano, lo scorso marzo, aveva respinto la richiesta della difesa del politico di dichiarare l’inefficacia del provvedimento firmato dal sostituto procuratore di Milano Antonio Lamanna. “L’ordine di carcerazione – avevano scritto i giudici – è stato legittimamente eseguito”. “Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello”, aveva scritto un mese fa Formigoni in una lettera inviata alla rivista ‘Tempi’. Nella stessa missiva, l’ex presidente aveva anche parlato della vita di tutti i giorni in carcere dove c’è “poco tempo utile nella giornata. E dunque a maggior ragione il tempo non va sprecato”. E ancora: “C’è il tempo per la corrispondenza: le lettere, le mail e i messaggi che per settimane mi sono arrivati a fiumi (ben oltre 2.000) oggi hanno un po’ rallentato il ritmo, ma – aveva sottolineato – ogni giorno ci sono nuovi arrivi. E’ qualcosa di straordinario, che mi emoziona e mi sorprende ogni volta”.

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Nel provvedimento con cui dispongono la sua scarcerazione, i giudici della Sorveglianza di Milano riportano che Roberto Formigoni ha ricevuto “richieste di aiuto” da parte degli altri detenuti nel penitenziario di Bollate. Pretese di fronte alle quali l’ex Governatore lombardo ha tenuto “un basso profilo” e i vertici del carcere hanno adottato “strategia di prevenzione”.

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Nel provvedimento con cui lo scarcerano, i giudici della Sorveglianza di Milano evidenziano l”impossibilita’ della collaborazione” da parte di Roberto Formigoni nell’aprire nuovi scenari investigativi relativi all’inchiesta Maugeri che ha portato alla sua condanna. E’ proprio questo l’elemento decisivo, assieme all’eta’ elevata e alla presa di coscienza del “disvalore” delle sue condotte, che li ha indotti a concedergli i domiciliari. Considerazioni che, viene spiegato in ambienti giudiziari, prescindono dalla legge ‘Spazza – corrotti’. Tenuto conto che il suo “ruolo pubblico” si è esaurito, “la detenzione in carcere null’altro può portare se non sotto il profilo dell’afflittività”. Quanto all'”impossibilita’ della collaborazione”, i magistrati argomentano che la Procura, nel suo ‘no’ alla scarcerazione, non spiega in che modo Formigoni potrebbe apportare nuovi contenuti all’indagine vista “la complessa ed esaustiva istruttoria, condotta con estrema pignoleria, che ha portato alla luce ogni particolare della vicenda corruttiva”. Anche l’eventualità che vi siano fondi esteri nascosti all’autorità giudiziaria, delineata dalla Procura, “e’ solo una mera ipotesi” sulla quale non si possono pretendere rivelazioni da Formigoni.

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