La prof messa in croce per il rap di “Bello Figo” a lezione. Ma ha fatto solo il suo lavoro

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-03-09

Uno studente le ha chiesto di ascoltare una canzona del rapper. Lei ha detto di sì, chiedendo di spegnere quando ha sentito le prime frasi volgari. Poi ha aperto un dibattito sul tema dell’immigrazione e del linguaggio. Ma Fratelli d’Itala ora vuol fare un’interrogazione parlamentare.

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Bologna, 9 marzo. La storia è questa: siamo in una prima superiore dell’istituto Aldrovandi Rubbiani, la didattica è a distanza. Uno studente propone alla professoressa (poi messa in croce), di ascoltare “Non pago affitto”, brano di Bello Figo che negli anni ha fatto parecchio discutere. La professoressa, che probabilmente non conosceva la canzone o comunque non ne ricordava il contenuto, dice di sì. Parte la musica, a quando le strofe diventano volgari chiede allo studente (che è a casa sua perché in Dad), di interrompere immediatamente. Lui lo fa. Ma la prof non si limita solo a interrompere ciò che tutti ormai stavano ascoltando, ma decide di aprire un dibattito sul fenomeno dell’immigrazione e assegna anche un compito a casa, una riflessione su questo tema e sul linguaggio usato dal rapper “Bello Figo”. Chi potrebbe mai dire che la prof abbia sbagliato? (Ovviamente) un deputato di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, che farà un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, chiedendo spiegazioni su quanto accaduto: “Si tratta di una canzone disgustosa ed è incredibile che sia stata oggetto di un momento formativo”. Scrive Il resto del Carlino, che ha riportato la notizia:

Questo mentre i 125 professori dell’istituto Aldrovandi Rubbiani esprimono la loro piena solidarietà alla collega, protagonista suo malgrado dell’episodio. “Esprimere la nostra solidarietà – scrivono gli insegnanti – significa rivendicare la libertà di insegnamento di ciascun docente e insieme l’autonomia della scuola, di ogni scuola, da ogni forma di ingerenza indebita – sia essa di un genitore o del politico di turno in cerca di visibilità – sul piano delle finalità educative, dei contenuti e delle metodologie didattiche”.

E’ la lamentela di un genitore ad accendere il riflettore. Durante la lezione di Italiano ovviamente in didattica a distanza, uno studente della classe, una prima, propone di ascoltare un brano del rapper Bello FiGo. La canzone contiene diverse espressioni volgari, offensive nei confronti delle donne e anche una serie clichet provocatori a mo’ di satira sulla condizione dei migranti. Appena in classe riecheggiano le prime strofe scurrili, la prof stoppa l’ascolto. Quindi apre un dibattito seguito dal compito a casa: una riflessione su quanto discusso in classe virtuale sul fenomeno dell’immigrazione e due righe sul linguaggio usato da Bello Figo.

“Al di là del fatto che sia stato uno studente a chiedere l’ascolto della canzone, occorre fare una disamina su ciò che si può o non si può fare in classe”, spiega Bignami. Oltretutto “la motivazione addotta dall’insegnante è blanda e scarica la responsabilità della scelta sullo studente”, puntualizza l’onorevole che venerdì scorso ha scritto al direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Versari per chiedere “se ritiene di assumere provvedimenti contro l’insegnante”.

Intensa la lettera di solidarietà scritta dai colleghi della professoressa. I docenti osservano che “la collega, come avrebbe potuto fare ognuno di noi ha accolto una proposta, ha interrotto la canzone quando ha ritenuto necessario farlo e ha sollecitato una riflessione comune. Dove starebbe lo scandalo? Non è peraltro lei ad avere fatto conoscere quel testo, ha piuttosto aperto uno spazio di riflessione intorno alle canzoni che vengono ascoltate da migliaia di ragazzi in modo a volte acritico”. Del resto “pedagogisti e psicologi ci ricordano sempre, non a torto, che dovremmo sforzarci di parlare meno e ascoltare di più. Questo cerchiamo di fare ogni giorno, nelle nostre differenze e con i nostri limiti, anche adattando le nostre attività programmate alle circostanze impreviste che si presentano, nell’intento di stimolare sempre l’approfondimento, il confronto e l’approccio critico”.

Insomma “noi dobbiamo fare scuola giorno per giorno mantenendo la capacità di ascolto e di interazione con il vissuto quotidiano e le sollecitazioni che vengono dagli studenti, anche se non ci piacciono. La dimensione propriamente educativa in cui ci muoviamo ci sollecita a mettere in primo piano la parola e il confronto, non la censura”.

Fermo restando il rispetto reciproco, “è auspicabile ogni sforzo per mantenere aperto un canale comunicativo con il mondo degli studenti che, a sua volta è fatto di tante differenze e individualità. È anche per questo – concludono – che lo spazio della classe e della scuola può essere liberatorio, perché eccede i confini della famiglia. Oggi ciò purtroppo è diventato più difficile a causa della didattica a distanza, che consente a sguardi curiosi di avere libero e incontrollato accesso alle lezioni, benché non autorizzati. A che titolo quel genitore o quei genitori stavano partecipando alla lezione senza peraltro averne informato l’insegnante e gli studenti? A che titolo si sentivano in diritto di ascoltare le parole di ragazze e ragazzi che non sono i propri figli? Questo andrebbe denunciato”.

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