Coronavirus e plasma iperimmune: la cura del sangue per COVID-19

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-04

Giuseppe De Donno dell’ospedale di Mantova spiega che la cura del plasma iperimmune funziona contro il Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. I primi risultati di alcune ricerche cinesi e l’articolo di Lancet. Ma anche le limitazioni nell’uso (il plasma deriva da soggetti infetti che hanno sviluppato immunità) e la certezza che non conferisce protezione duratura

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Sarà il plasma a sconfiggere il Coronavirus SARS-COV-2? In queste ore l’ospedale di Mantova lavora a una possibile cura del sangue per COVID-19 i cui risultati, dice Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e dell’Unità di Terapia Intensiva respiratoria al Carlo Poma, sembrano molto positivi. Ma la cura del plasma iperimmune in corso all’ospedale Carlo Poma di Mantova in collaborazione con il San Matteo di Pavia è finita anche nel mirino dei Nas.

Coronavirus e plasma: la cura del sangue per COVID-19

I carabinieri del nucleo antisofisticazioni hanno chiesto informazioni sulla donna incinta malata di Covid e guarita con l’infusione di plasma proveniente da un paziente infetto e poi guarito. La conferma è arrivata ieri dallo stesso De Donno, primario del reparto di pneumologia: “I Nas – ha detto – hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni”. Anche il direttore generale dell’Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, conferma la telefonata e smentisce l’acquisizione di cartelle cliniche: “Non so perché – ha detto – i Nas si siano interessati della vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche”. Nel protocollo, però, non sono previste infusioni su donne in stato interessante: “Ma quel caso – risponde Stradoni – rischiava di finire male e, quindi, abbiamo proceduto, salvando due vite”. Cosa sta succedendo, quindi? In primo luogo va specificato, come ha fatto notare lo scienziato Enrico Bucci, che di cura del plasma per il Coronavirus si parla già da tempo: il 27 febbraio scorso Lancet ha parlato del plasma autoimmune mentre il 2 marzo scorso è stata pubblicata una ricerca sul possibile ruolo dell’eparina nel COVID-19.

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La precisazione è necessaria perché proprio De Donno qualche giorno fa in uno status su Facebook successivamente cancellato si era lanciato in una polemica con Roberto Burioni: “Il signor scienziato, quello che nonostante avesse detto che il coronavirus non sarebbe mai arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune”, aveva scritto in un post. “Forse il prof non sa cosa è il test di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Visto che noi abbiamo il supporto di AVIS glielo perdono. Io piccolo pneumologo di periferia. Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa. Ora, ci andrà lui a parlare di plasma iperimmune. Ed io e Franchini alzeremo le spalle, perché…. importante è salvare vite! Buona vita, quindi, prof Burioni. Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’. I miei pazienti ringraziano”. Il tutto era nato dopo un video di Burioni in cui il dottore parlava della cura sostenendo che “non è nulla di nuovo”, perché in passato anche altre malattie sono state trattate in modo simile.

Inoltre, raccontava Burioni, già in Cina si è sperimentata questa terapia. “Una prospettiva interessante, ma d’emergenza. Non può essere utilizzata ad ampio spettro”, diceva. Ricordando poi tutte le necessarie precauzioni e protocolli da rispettare. E poi aggiungeva: “(Questa cura) diventa interessantissima nel momento in cui riusciremo a stabilire con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, perché avremo aperta una porta eccezionale per una terapia modernissima: un siero artificiale” prodotto in laboratorio.

GIUSEPPE DE DONNO STATUS BURIONI

Il plasma autoimmune e COVID-19

Proprio per questo la storia della cura del sangue per COVID-19 e del plasma autoimmune aveva scatenato una serie di complottismi: in molti fanno notare che la cura avrebbe un costo zero e per questo sarebbe osteggiata dalle case farmaceutiche (la seconda affermazione è da dimostrare, la prima è falsa perché i costi ci sono). Proprio per questo nelle scorse ore articoli e dichiarazioni di dubbi personaggi si erano proprio concentrate sulla “cura valida e gratuita”. Ma l’AVIS citata proprio da De Donno ieri ha pubblicato sul suo sito un comunicato firmato dal presidente Giampietro Briola che mette in chiaro le cose:

Si è dimostrato che in molti casi il plasma è efficace per gli anticorpi presenti nei soggetti guariti, ma con il plasma prelevato si somministrano anche sostanze non necessarie per il trattamento di determinate patologie. Quindi, rappresenta una terapia sperimentale ed emergenziale già nota per altre malattie. Serve ora capire quali sono gli anticorpi efficaci, isolarli, purificarli e poi somministrare solo quelli in dose controllata e farmacologica. Come avviene per le immunoglobuline antitetaniche, ad esempio. È comunque importante sottolineare che questo approccio ha dimostrato che il plasma contiene degli elementi che funzionano contro il virus e lo neutralizzano.

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AVIS, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità. Al momento, però, è importante mantenere la calma e informarsi sempre attraverso fonti attendibili e non creare false aspettative. Appena conosceremo il test che meglio è in grado di rilevare e dosare questi specifici anticorpi e non appena le aziende di plasmaderivazione saranno in grado di produrre le immunoglobuline specifiche, coinvolgeremo la generosità dei donatori per la plasmaferesi».

E quindi torniamo a Bucci, il quale su Facebook spiega:

1) La terapia con plasma di convalescenti (plasma iperimmune) è vecchia quanto la comprensione del ruolo degli anticorpi nel combattere i patogeni. E’ stata ampiamente usata, anche nel caso del coronavirus (in Cina), e sembra dare risultati promettenti, ma è limitata nell’uso per ovvi motivi (il plasma deriva da soggetti infetti che hanno sviluppato immunità) e non conferisce protezione duratura. Per questo i soggetti trattati, pur se ovviamente ne beneficiano, non sono al riparo da successive infezioni, come invece sarebbero se avessero sviluppato una propria immunità con il vaccino. Comunque, mancano ancora evidenze certe in un trial randomizzato, possibilmente in cieco. Una terapia salvavita, ma limitata e non scalabile all’infinito, per la quale siamo in attesa di conferme certe: questo è.

2) L’eparina a basso peso molecolare costituisce un valido supporto in quei casi in cui vi è indicazione (presenza di d-dimero), ed è ovviamente usata anche lei da molto tempo in Cina per fronteggiare le conseguenze dell’infezione, che spesso includono coagulopatie. Questo non vuol dire affatto che i sintomi respiratori non siano importanti, o che la patogenesi COVID sia riducibile ad una sola coagulopatia, per quanto grave, o che basti eparina per risolvere tutto. Smettiamola di fare un derby tra chi vorrebbe che fosse una cosa e chi un’altra: mentre il virus è uno solo, la patologia che induce è estremamente complessa e variabile, e le terapie vanno calibrate sui singoli casi. Questo insegna la letteratura ad oggi.

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