Pink Floyd – Their Mortal Remains al Macro di Roma dal 19 gennaio

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-11-29

La mostra è stata inaugurata il 13 maggio scorso al Victoria&Albert Museum di Londra. Dopo lo sfortunato tentativo di Milano, farà tappa a Roma

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Dopo una lunga ed estenuante attesa è stato finalmente dato l’annuncio che la mostra Pink Floyd – Their Mortal Remains farà tappa al Macro di Roma a partire dal 19 gennaio 2018 (qui i biglietti). La mostra è stata inaugurata il 13 maggio scorso al Victoria&Albert Museum di Londra dove è rimasta aperta fino al 13 ottobre. La mostra è una retrospettiva sulla carriera e sul percorso artistico dei Pink Floyd, dalle 1965 fino ai giorni nostri, con la pubblicazione di The Endless River, l’ultimo album della band di cui ormai fanno parte solo David Gilmour e Nick Mason.

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L’annuncio di Their Mortal Remains al Macro di Roma dal 19 gennaio

Pink Floyd – Their Mortal Remains dal 19 gennaio al Macro di Roma

L’approdo a Roma costituirà un parziale risarcimento per la figuraccia fatta nel 2014, quando venne prima annunciata e poi cancellata alla Fabbrica del Vapore di Milano perché non c’era tempo per l’allestimento. Il nome della mostra viene dai versi di Nobody Home, contenuta in The Wall:

I’ve got the obligatory Hendrix perm.
And the inevitable pinhole burns
All down the front of my favorite satin shirt.
I’ve got nicotine stains on my fingers.
I’ve got a silver spoon on a chain.
Got a grand piano to prop up my mortal remains.

La curatrice dell’esibizione è Victoria Broackes, che a collaborato con Geoffrey Marsh all’incredibile “David Bowie Is” la mostra che ha ripercorso la carriera del Duca Bianco e che ha fatto tappa lo scorso anno al MAMBO di Bologna.

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La presentazione della mostra al Macro di Roma sul sito di Their Mortal Remains

A collaborare attivamente all’allestimento hanno provveduto i tre Pink Floyd superstiti ovvero Roger Waters, David Gilmour e Nick Mason. Ma è stato proprio Mason, da sempre memoria storica del gruppo – e già autore di una possente monografia sulla storia dei Pink Floyd – a fornire la maggior parte del materiale. Chi ha visto la mostra su Bowie sa già cosa aspettarsi. Per gli altri meglio non svelare troppo per non rovinare la sorpresa.
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La modalità con cui il visitatore vive l’esperienza della mostra è identica a quella su Bowie. Inforcate le cuffie con ricevitore (non ci sarà bisogno di arrabattarsi a selezionare le varie sezioni) l’audioguida consentirà di vivere in solitaria il percorso della mostra lasciandosi guidare dal flusso dei ricordi. Ricordi che sono soprattutto oggetti, veri e propri relics di un tempo che non potrà più tornare. Ci sono manifesti d’epoca (anche quello del famoso concerto del 1989 a Venezia), appunti, quaderni con i testi e ovviamente gli strumenti musicali originali tra cui anche le pedaliere realizzate da Pete Cornish per Gilmour e i synth utilizzati da Rick Wright.
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Non mancano bozzetti e progetti per le scenografie dei dei concerti e per la realizzazione delle copertine, molte delle quali curate dallo studio Hipgnosis di Storm Thorgerson. Il fan dei Pink Floyd uscirà sicuramente soddisfatto dopo questa overdose visiva e sonora di memorabilia.

Un viaggio nella memoria con molta nostalgia e senza troppa introspezione

Non mancano i momenti interattivi e nemmeno quelli davvero emozionanti quando si arriva alla sezione dedicata a Wish You Where Here. Ed è proprio quando si parla di quell’album che la mostra tocca il suo picco emotivo. Non tanto per la presenza assenza di Syd Barret che già fa da sfondo al disco quanto per quella delle due anime della band – da tempo ormai su strade diverse –  che regalano allo spettatore qualcosa che forse può mettere la parola fine alla disputa tra “watersiani e gilmouriani” che si trascina ormai dal 1983.

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I mortal remains dei Pink Floyd: le maschere usate per il tour di The Wall

C’è però qualcosa che manca, tra tutti gli oggetti di scena, i gonfiabili, i video e le chitarre. Mancano le persone, ovvero i cinque Pink Floyd. Una vecchia storia racconta che i Pink Floyd fossero l‘unica band i cui componenti potevano mischiarsi al pubblico dei loro concerti senza essere riconosciuti. Fino ad un certo periodo è stato sicuramente vero. E per la mostra sembra quasi che l’incredibile abbondanza di questi resti mortali serva proprio per compensare l’assenza del vissuto personale dei componenti del gruppo.
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Ad addolcire l’esibizione alla V&A delle deliziose torte a tema Dark Side of the Moon

Una scelta questa che lascia con l’amaro in bocca, perché i Pink Floyd hanno vissuto al loro interno importanti e profonde lacerazioni, che però passano sotto silenzio. L’unica che si sente in qualche modo viva è quella dovuta alla scomparsa di Rick Wright. Chi ha visto la mostra su David Bowie e spera di viverla con lo stesso impatto emotivo rimarrà sicuramente deluso. Perché i Pink Floyd hanno deciso di non mettersi a nudo come invece fece Bowie, che d’altra parte ha il vantaggio di essere un solista con un percorso artistico decisamente più complesso.
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Mentre per Bowie l’enorme mole di costumi di scena e “reperti” era funzionale a mostrare che l’artista “è” – con i suoi drammi e le sue paure – per i Pink Floyd invece si tratta di un continuo tentare di nascondere la parte più intima. Evidentemente nel gruppo ci sono ancora molte questioni irrisolte e scavare troppo a fondo tra le reliquie non era consigliabile. Se vi aspettate che The Mortal Remains risponda ai vostri interrogativi più profondi sui Pink Floyd vi troverete davanti a un muro. Un muro che fa parte dell’esibizione quanto fa parte dei Pink Floyd stessi.
Foto di neXtQuotidiano – EF
 
 
 

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