42 anni dopo ancora non si conosce il nome di chi ha ucciso Piersanti Mattarella

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-01-06

È stata archiviata, nei giorni scorsi, la pista del commando di estrema destra. A chi la mafia commissionò l’omicidio?

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Era il 6 gennaio del 1980. Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica e – all’epoca – Presidente della Regione Siciliana, era appena salito a bordo della sua automobile in compagnia della moglie e della suocera per andare a seguire la messa dell’Epifania. Lì, mentre si trovava in via della Libertà (a Palermo) venne fermato da un commando e crivellato di colpi. Quarantadue anni dopo si conoscono i nomi dei mandanti, ma non degli esecutori materiali del delitto.

Piersanti Mattarella, 42 anni dopo l’omicidio ci sono ancora ombre

Il 12 aprile del 1995 arrivò la condanna per i mandanti di quell’omicidio commesso (e commissionato) il 6 gennaio del 1980. Quindici anni di indagini e processo che portarono alla pena dell’ergastolo nei confronti sette boss della mafia siciliana: Bernardo Brusca, Salvatore Greco, Totò Riina, Giuseppe Calò, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Secondo l’istruttoria dei magistrati, infatti, è stato confermato come

“L’azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi”.

Il politico, all’epoca dei fatti Presidente della Regione Siciliana, stava agendo per bloccare tutti quegli affari messi in piedi dalla cupola mafiosa – Cosa Nostra – e quei traffici che avevano portato la criminalità organizzata a banchettare allo stesso tavolo della politica. Per questo motivo, secondo i giudici, i sette condannati avevano emesso la loro sentenza di morte. Una sentenza eseguita la mattina del 6 gennaio del 1980 (42 anni fa) con otto colpi d’arma da fuoco mentre si trovava a bordo della sua Fiat 132 in compagnia della moglie e della suocera per andare alla messa dell’Epifania.

Otto colpi d’arma da fuoco che non sono stati confrontati con quelli utilizzati in altri delitti per colpa della loro ossidazione. All’epoca dei fatti l’attenzione si spostò immediatamente sulla mafia. L’allora Presidente della Regione Siciliana aveva dedicato tutta la sua vita politica per lottare contro Cosa Nostra. Lo fece con il suo discorso in occasione dell’uccisione di Peppino Impastato e anche con i suoi provvedimenti. Prima di essere freddato in quel giorno dell’Epifania, stava preparando un piano per detronizzare il ruolo della mafia che si era presa Palermo e dintorni.

Mai chiariti gli esecutori materiali

Ma se il mandate è stato chiaro fin dal delitto, c’è stata sempre grande confusione sugli esecutori materiali dell’omicidio. Pochi giorni dopo la morte di Piersanti Mattarella, un gruppo di terroristi neofascisti rivendicò l’assassinio. E da quel momento iniziarono le indagini sui NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), movimento di estrema destra. Una pista seguita anche da Giovanni Falcone e ripresa di recente, nel 2018, dalla Procura di Palermo. Anni di indagini in un processo parallelo a quello che ha portato all’ergastolo nei confronti dei boss di Cosa Nostra. Ma 42 anni dopo ancora non si conosce la verità. Come riporta Salvo Palazzolo sul quotidiano La Repubblica, la pista “nera” dietro all’omicidio del Presidente della Regione Siciliana è stata archiviata proprio in questi giorni. Colpa di quei proiettili ossidati che non possono essere confrontati con i delitti commessi dai neofascisti (e comprovati) tra il 1977 e il 1981. Poi ci sono le dichiarazioni dei alcuni pentiti (come Buscetta) che indicarono i mandanti, ma non seppero indicare gli esecutori.

Giovanni Falcone aveva basato la sua indagine su una confessione fatta dal terrorista nero Cristiano Fioravanti che portò all’accusa nei confronti del fratello e di Gilberto Cavallini. Poi ritrattò e quella testimonianza servì a poco. E a nulla, vista l’imminente archiviazione della pista nera, servì il ritrovamento di alcuni spezzoni di targhe automobilistiche ritrovate in un garage di proprietà di un gruppo di estrema destra a Torino, nonostante la verifica che anche sull’automobile che affiancò quella di Piersanti Mattarella prima del delitto fossero state installati spezzoni di targhe differenti per rendere introvabile la vettura. Tutte evidenze che si sono perse nel tempo e nelle indagini. Indagini che, 42 anni dopo, hanno portato a una giustizia solamente parziale. Condannati i mandanti, non gli esecutori.

(foto: da Tg1)

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