Attualità
Per una volta sparare ad un afroamericano è reato
Giovanni Drogo 11/02/2015
Il grand jury ha stabilito che l’agente del NYPD che ha ucciso accidentalmente il ventottenne Akai Gurley sarà processato per omicidio.
Il 20 novembre 2014 Peter Liang, un poliziotto di ventisette anni in forza al NYPD da 18 mesi, ha ucciso Akai Gurley un ragazzo afroamericano di 28 anni. Stando alle dichiarazioni della Polizia di New York, Liang avrebbe sparato per errore e solo per una tragica fatalità Gurley, che era sulle scale di un condominio con la sua fidanzata quando è partito il colpo sarebbe stato colpito a morte dal colpo esploso dalla pistola dell’agente. Peter Liang avrebbe sparato ad Akai Gurley perché impugnava la pistola con la stessa mano con la quale stava cercando di aprire una porta mentre nell’altra mano aveva una torcia elettrica. L’omicidio di Akai Gurley è avvenuto in un periodo particolarmente delicato per la polizia americana: il 17 luglio un altro agente del NYPD aveva strangolato a morte un altro afroamericano Eric Garner, disarmato ma “colpevole” di vendere sigarette per strada senza licenza. Il 9 agosto invece l’omicidio del diciannovenne Michael Brown a Ferguson, Missouri, sempre da parte di un agente delle forze dell’ordine provocò la reazione violenta della popolazione afroamericana della città e le proteste della società civile per quello che sembrava delinearsi come l’ennesimo episodio di comportamento razzista da parte della polizia americana.
LA DECISIONE DEL GRAND JURY SUL CASO DI AKAI GURLEY
A differenza di quanto è accaduto per gli assassini di Garner e Brown, per i quali il grand jury stabilì che gli agenti non dovevano essere processati, la giuria che si è riunita a proposito del caso Gurley ha stabilito che Peter Liang dovrà essere processato. È bene ricordare che il compito del grand jury non è quello di stabilire se un imputato sia innocente o meno quanto quello di verificare l’esistenza di prove sufficienti ad una sua eventuale incriminazione secondo i capi d’accusa che gli vengono contestati. Se il grand jury decide per l’incriminazione allora il caso andrà a giudizio, altrimenti verrà archiviato. Per Peter Liang il grand jury era stato chiamato a valutare riguardo sei diverse imputazioni: omicidio colposo (nella forma del second-degree manslaughter) omicidio colposo aggravato, condotta pericolosa, aggressione di secondo grado e due accuse di condotta disdicevole. Ora che il grand jury di Brooklyn si è espresso Liang verrà processato e solo allora verrà stabilita la sua innocenza o la sua colpevolezza. In ogni caso la decisione è in un certo senso storica, visti i precedenti nei quali il tutto era finito con un nulla di fatto. E l’incriminazione di Peter Liang stride ancora di più se rapportata alla mancata incriminazione dell’agente colpevole di aver ucciso Eric Garner. Come è stato possibile, si chiedono in molti, riuscire a convincere il grand jury che Liang poteva essere processato nonostante l’omicidio Gurley sia avvenuto in assenza di testimoni (se si escludono la ragazza di Akai e il collega di Liang) e quasi al buio (la scala del palazzo era male illuminata) mentre non è stato possibile fare altrettanto nel caso di Eric Garner, la cui uccisione, avvenuta per strada e in pieno giorno è stata filmata da diversi passanti? E non bisogna dimenticare che Liang all’epoca dei fatti era una recluta con pochissima esperienza che stava pattugliando una delle aree più pericolose della città. A proposito della decisione del grand jury consigliere Jumaane Williams ha rilasciato un comunicato in cui dice che per casi come quelli di Brown, Garner e Gurley un’incriminazione (che di per sé non garantisce che il giudizio di colpevolezza) dovrebbe essere la norma, non un’eccezione come invece la storia recente sembra dimostrare.
“An indictment should be the norm, not the exception” ~@JumaaneWilliams of @NYCCouncil on #AkaiGurley. Great response pic.twitter.com/Goo2aOpIkH
— Occupy Wall Street (@OccupyWallStNYC) February 10, 2015
PREGIUDIZI RAZZIALI E FAVORI ALLA POLIZIA Ed infatti raramente accade che un grand jury voti per l’incriminazione di un poliziotto, un problema che non riguarda solo New York o Ferguson e che indica come le giurie abbiamo quasi sempre un occhio di riguardo nei confronti della Polizia. Da parte sua la Polizia americana invece sembra avere un serio problema di razzismo. Secondo quanto riporta un articolo di Vox il ricorso al racial profiling è una pratica generalizzata. Le forze dell’ordine tendenzialmente fermano, arrestano e uccidono durante le operazioni di polizia molto più i cittadini afroamericani che i bianchi.
Le persone di colore sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di essere arrestate perché sospettate di spacciare droga o di farne uso. La stessa cosa non accade per la parte bianca della popolazione americana. Al netto del difficile compito che i poliziotti devono svolgere quotidianamente (spesso a rischio della vita) è innegabile che la polizia americana non abbia particolare interesse a difendere le minoranze. Come è problematico che alle forze di polizia locale vengano ceduti armamenti e materiale di tipo militare. Un problema non da poco se il Presidente è Barack Obama che da un lato promuove l’introduzione e l’uso delle body cameras per monitorare l’attività degli agenti e dall’altro non fa nulla per fermare la militarizzazione della polizia. E una polizia militarizzata tenderà a comportarsi come i soldati durante le operazioni militari: ovvero agendo come se si trovasse in territorio nemico di fronte a forze ostili dalle quale deve proteggersi e non al servizio dei cittadini che è incaricata di proteggere.
http://youtu.be/omK6gB5-Fks
QUEL DETTAGLIO POCO CHIARO
Secondo quanto riporta il New York Daily News Liang e il suo collega di pattuglia hanno immediatamente mandato un sms al loro sindacato invece che prodigarsi per tentare di salvare la vita di Gurley. Per circa sei minuti e mezzo i due poliziotti non furono raggiungibili al cellulare e nemmeno sulla radio di servizio. La chiamata al 911 per avvisare i soccorsi sarebbe infatti partita da uno dei vicini di casa di Gurley dopo aver sentito lo sparo; i due agenti si sono preoccupati di salvare la propria reputazione (e la carriera) mentre Akai era ancora agonizzante. A quanto pare inoltre ai due era stato ordinato di pattugliare solo l’esterno del condominio (facente parte di un complesso abitativo di edilizia popolare) e di non addentrarsi all’interno. Il dipartimento di Polizia dovrà quindi spiegare cosa ci facevano due reclute all’interno di quella che, per ammissione dei portavoce del NYPD, è una zona molto pericolosa.
 
Foto copertina via Twitter.com