Perché Salvini non può chiudere il porto alla Mare Jonio

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-03-19

Salvini oggi attacca l’armatore della nave di Mediterranea che ha soccorso 49 persone al largo delle coste libiche. E lo fa perché non può usare la sua argomentazione preferita: ovvero la nave deve andare a sbarcare nel porto della nazione di cui batte bandiera. Che per la Mare Jonio è l’Italia

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I porti sono chiusi, la pacchia è finita e oggi Salvini può aggiungere alla litania contro le ONG anche le accuse nei confronti di Luca Casarini, l’ex leader delle tute bianche, i Disobbedienti del G8 di Genova colpevole di aver trasformato un rimorchiatore degli Anni 70 in un “centro sociale galleggiante”. Alla fine la reazione pubblica, sui socia, del ministro dell’Interno è tutta in quel post ad personam dove attacca Casarini per quello che è stato in passato e chiedei ai suoi «e noi dovremmo cedere a questi personaggi?».

Perché Salvini non apre i porti ad una nave italiana?

Finalmente Salvini ha trovato un avversario del suo livello. Ma il ministro però dimentica un fatto importante: non è Casarini che deve sbarcare, lui in quanto cittadino italiano può farlo ancora tutte le volte che vuole. Sono i migranti a bordo della Mare Jonio a cui il Viminale nega il permesso di sbarcare a Lampedusa. Si tratta di una cinquantina di persone, soccorse dopo che il gommone al bordo del quale si trovavano aveva fatto naufragio. Tra loro ci sono anche 12 minori. Per chi non lo sapesse l’Italia non può legalmente respingere dei minori non accompagnati. A meno che Salvini non voglia mettersi sullo stesso piano di “un pluripregiudicato”. E no, non stiamo parlando degli ultras che il ministro frequenta abitualmente e che considera suoi amici.

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E così Salvini si inventa la narrazione dei pericolosi “centri sociali galleggianti”, quando in realtà Mediterranea è un’operazione di soccorso finanziata tramite crowdfunding e non certo un pericoloso vascello pirata. Anzi, a dirla tutta la Mare Jonio batte bandiera italiana. Diversamente da altre Ong al centro delle polemiche nei mesi scorsi si tratta di un’imbarcazione che è italiana a tutti gli effetti (ed è salpata il 16 marzo dopo aver superato numerose ispezioni della Capitaneria). E se quando è toccato alla Aquarius o alla Sea Watch Toninelli, Salvini e altri sovranisti hanno chiesto che portassero i migranti in Germania, in Olanda o altrove fosse il loro paese di bandiera questa volta non c’è scampo. I migranti sono stati soccorsi da una nave battente bandiera italiana? Allora secondo la stessa ferrea logica del governo del cambiamento devono sbarcare da noi.

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Parafrasando un tweet del ministro si potrebbe dire: «Mare Jonio? Bandiera italiana, Ong Italiana. Aprano i porti della Sicilia». E da noi di posto ce n’è, perché come rivendica orgogliosamente Salvini da inizio anno sono sbarcate appena trecento persone. Se nello stesso periodo del 2018 ne erano sbarcate cinquemila – senza che nessun italiano si sia dovuto “fare in là” per far posto ai nuovi venuti – significa che possiamo tranquillamente accogliere le 50 persone a bordo della Mare Jonio.

La direttiva di Salvini che non ha alcun valore legale

C’è poi la questione della direttiva emanata da Salvini per chiudere il porto in faccia ai migranti a bordo del rimorchiatore. Nella direttiva vengono richiamati i trattati internazionali che devono essere rispettati da ogni imbarcazione per garantire il soccorso in mare: la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974, la Convenzione di Amburgo del 1979, la Convenzione delle Nazioni Unite Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) di Montego Bay del 1982. Tutti testi che hanno la precedenza sulla direttiva del Viminale.

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Ma secondo il Ministero il punto importante è un altro: l’Italia non è l’unico place of safety ovvero punto di sbarco sicuro nel Mediterraneo e cita anche i porti della Liba e della Tunisia. Ma entrambi i paesi nordafricani non possono essere considerati dei porti sicuri, perché in Tunisia chi ottiene lo status di rifugiato non ha diritto ad un permesso di soggiorno (e chi si vede rifiutare la domanda rischia la deportazione). La Libia è una situazione ancora più palese perché al di là delle violazioni dei diritti umani perpetrati anche l’UNHCR non ritiene che possa essere definita un porto sicuro. Qualcosa lo sa anche il comandante della Mare Jonio, un ex comandante di pescherecchi che spesso si è trovato a dover fronteggiare le aggressive motovedette libiche.

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Cosa scrive allora Salvini nella sua direttiva? Che il modus operandi delle Ong mette a rischio la sicurezza nazionale perché dal momento che i migranti provengono da “paesi stranieri a rischio terrorismo, per diffuse attività terroristiche verificatesi ed in atto in quei territori”. Ovvero rischiamo di importate terroristi. Non risulta però fino ad ora ne siano sbarcati, e state tranquilli che se fosse successo Salvini non avrebbe mancato di twittarlo ai quattro venti. Più semplicemente si tratta di persone che scappano dai paesi dove ci sono “diffuse attività terroristiche” o che provengono da paesi dove il rischio terrorismo non è così alto. Salvini però lo sa che la direttiva non ha alcun valore, a meno fino a che l’Italia non si ritira dalle convenzioni e dai trattati internazionali. Ed è per questo che oggi Salvini se la prende con Casarini, uno che frequentava i centri sociali, proprio come lui.

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