Perché in Italia gli anticorpi monoclonali sono stati approvati così tardi?

di Giorgio Saracino

Pubblicato il 2021-02-07

Davvero è colpa del ministro Speranza se il via libera è arrivato così tardi? E cosa si sarebbe potuto fare per accelerare i tempi? Tutte le risposte sul tema nel fact checking di “Next”

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Tanto per intenderci: si tratta della cura che nell’ottobre scorso ha rimesso in sesto l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, risultato positivo al covid. Sono gli anticorpi monoclonali, e sono una copia artificiale prodotta in laboratorio degli anticorpi naturali. In pratica: vengono selezionati in laboratorio quelli più efficaci, e su quel modello ne vengono riprodotti migliaia in larga scala. La cura è stata appositamente studiata per combattere il coronavirus, e a sottoporla alle agenzie internazionali sono state le aziende farmaceutiche americane Ely Lilly e Regeneron (quest’ultima aveva messo a punto un metodo simile per combattere ebola). Comunque, si tratta di una cura che va somministrata nelle prime ore (al massimo giorni), da quando si scopre di essere positivi al covid, e quindi in una fase iniziale. Altrimenti rischia di perdere i suoi effetti. L’Agenzia Italiana del Farmaco e il Comitato tecnico scientifico hanno dato il via libera al loro utilizzo, e il 5 febbraio il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il decreto con cui ne autorizza la distribuzione.

Come agiscono 

Questi anticorpi “artificiali” funzionano nello stesso identico modo di quelli naturali. Ovvero: i monoclonali si legano alla proteina spike, quella che il virus utilizza per entrare nelle cellule, e ne impediscono l’ingresso e la replicazione. Per questo motivo è importante intervenire con la cura il prima possibile, così da bloccare la malattia prima che sia necessaria l’ospedalizzazione.

Quanto costano

Uno dei fattori su cui maggiormente si è dibattuto è il prezzo: ogni somministrazione ha un costo di circa 2mila euro, ovviamente (in Italia) sostenuto dal Servizio sanitario nazionale. A chi credeva che ciò potesse costituire un problema, gli esperti hanno risposto che l’ospedalizzazione e un’eventuale terapia intensiva comportano costi molto più elevati (un ricovero può gravare anche per mille euro al giorno).

Quante dosi abbiamo 

Anche se l’Aifa ha dato il via libera, si dovrà considerare questo periodo comunque come una fase sperimentale. Ed è così perché per farne un uso più amplio si preferirebbe comunque attendere il via libera vero e proprio anche dell’Ema (non ancora arrivato). Nell’attesa sono state acquistate però circa 200mila dosi, per un valore di 400 milioni di euro.

A chi è destinata questa cura

Come detto, si tratta di farmaci che prevengono il progredire della malattia, che devono essere somministrati non appena si scopre di essere positivi al virus. E quindi: come capire chi curare con questo metodo se non ha ancora sviluppato sintomi pericolosi? L’Aifa fa sapere che l’età minima dei pazienti a cui somministrare la cura è di 12 anni. Poi delinea delle categorie maggiormente esposte che, nel caso di tampone positivo, devono iniziare la cura. In sostanza: tutti i soggetti che presentano almeno uno dei fattori di rischio (malattie, diabete, immunodeficienze, etc.), devono avere accesso ai monoclonali.

I tempi dell’Aifa per il via libera all’uso dei monoclonali

Una delle critiche mosse all’Agenzia del Farmaco riguarda i tempi “lenti” di approvazione degli anticorpi monoclonali, che -a detta di chi critica l’Aifa- avrebbero potuto salvare diverse vite. Eppure da via del Tritone fanno sapere che è stato dato il via libera “pur considerando l’immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto si ritiene che in via straordinaria, possa essere opportuno offrire comunque un’opzione terapeutica ai soggetti non ospedalizzati che, pur con malattia lieve/moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19”.

Le critiche all’Aifa

Una delle accuse più gravi arriva dal virologo Guido Silvestri, docente negli Stati Uniti, che ha chiesto le dimissioni del dg dell’Aifa Nicola Magrini. All’agenzia di stampa Adnkronos -attaccandolo dicendo che si sarebbero potute salvare parecchie vite- ha detto: “La sua scelta di bloccare la proposta di trial clinico pragmatico in ottobre, adducendo che doveva prima essere approvato dall’Agenzia europea del farmaco Ema, come poi scritto molto chiaramente nel comunicato stampa di Aifa del 22 dicembre 2020, è ingiustificata non solo dal punto di vista scientifico, sul quale si può comunque discutere, ma anche e soprattutto dal punto di vista legale e regolatorio”.

Si poteva approvare fare prima? 

La risposta è sì, così come hanno fatto in Germania. Perché in situazioni di emergenza le agenzie di ogni Stato membro possono approvare un farmaco anche se l’Autorità europea non si è ancora pronunciata. Quindi questa valutazione dell’Aifa (che ricordiamo ha concesso l’approvazione anche se “c’è immaturità dei dati”), poteva essere elaborata anche prima. In sostanza, secondo alcuni l’Aifa avrebbe dovuto essere più coraggiosa, e anticipare l’Ema.

Perché allora abbiamo aspettato tanto?

La Fda, che è l’agenzia statunitense che regola l’immissione dei farmaci in commercio, ha approvato l’uso di queste due cure già da tempo, nell’ottobre scorso. L’Ema, che è il corrispettivo europeo non ha ancora dato il via libera. L’Aifa (quella italiana appunto), sebbene in molti abbiano provato a sollecitarne l’approvazione, ha sempre risposto che attendeva un esito dall’agenzia europea. Attesa che ha creato un cortocircuito: l’Ema non ha ancora dato l’ok, e l’Aifa ha deciso comunque -e solo ora con l’arrivo del nuovo presidente Giorgio Palù- di fare come i colleghi dell’agenzia tedesca. Ovvero: far partire la cura anche se l’Autorità europea non si è ancora pronunciata.

Il ministero della Salute avrebbe potuto fare qualcosa?

Se è vero che in molti colpevolizzano l’Aifa per aver impiegato troppo tempo e quindi chiedono la testa del direttore generale, è altrettanto vero che alcuni puntano il dito contro il ministro della salute Roberto Speranza. La domanda è: avrebbe potuto fare qualcosa per chiedere all’Aifa di accelerare? La risposta è no. Perché come si legge sul sito del ministero della Salute l’Aifa è “organismo di diritto pubblico che opera sulla base degli indirizzi e della vigilanza del Ministero della Salute in autonomia, trasparenza ed economicità”.

 

 

 

 

 

 

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