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Il pasticcio del M5S su Roma Metropolitane
Alessandro D'Amato 05/11/2016
A causa di una serie di errori la mozione è stata riscritta per tre volte, visto che nella prima versione mancava del tutto il riferimento alla chiusura, nella seconda si chiedeva alla sindaca di approvare il bilancio 2015 e salvare la società mentre nella terza, con tanto di correzioni a penna, finalmente si indicava di “non procedere alla ricapitalizzazione”
Ieri il MoVimento 5 Stelle ha approvato la mozione su Roma Metropolitane nella cosiddetta “Operazione verità” annunciata dall’assessora Linda Meleo; il retroscena della storia è che a causa di una serie di errori la mozione è stata riscritta per tre volte, visto che nella prima versione mancava del tutto il riferimento alla chiusura, nella seconda si chiedeva alla sindaca di approvare il bilancio 2015 e salvare la società mentre nella terza, con tanto di correzioni a penna, finalmente si indicava di “non procedere alla ricapitalizzazione“, utilizzando così l’unico strumento corretto per ottenere il risultato voluto.
Il pasticcio del M5S su Roma Metropolitane
La storia è raccontata nel dettaglio oggi da Repubblica Roma in un articolo a firma di Giovanna Vitale e che parte dall’intervento della sindaca Virginia Raggi, che in consiglio aveva raccontato di una società che presentava anomalie nei bilanci e aveva fallito il suo obiettivo, generando perdite per la società e costi per la collettività: «noi non ce la sentiamo di avallare ancora una volta questo vergognoso sperpero di denaro pubblico, noi non ricapitalizziamo», diceva orgogliosamente la Raggi. In quel preciso momento i consiglieri 5 Stelle si sono accorti che nella loro mozione mancava proprio il passaggio sulla chiusura della controllata:
C’era il riferimento alla prosecuzione della linea C fino al Colosseo, il cambio del management e il tavolo congiunto con ministero dei Trasporti e Regione, ma non lo stop alla ricapitalizzazione. Panico. Parte la caccia all’errore. Gli eletti entrano ed escono dall’aula, si consultano fra loro. A fatica si partorisce un nuova versione. Ma la fretta è cattiva consigliera: si sbaglia di nuovo. Stavolta si impegna la sindaca a fare l’opposto di quanto ha appena dichiarato, ovvero a «valutare le soluzioni più opportune per procedere all’approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2015», il che significa salvare Roma Metropolitane così com’è.
Si deve intervenire un’altra volta. Il tempo però stringe. Il presidente della commissione Trasporti Stefàno e il capogruppo Ferrara impugnano la biro, cancellano quasi tutto il primo paragrafo e lo riscrivono per intero con un getto d’inchiostro. Partorendo una terza versione, infine approvata a maggioranza.
La toppa appare tuttavia peggiore del buco:
Perché se si fosse proceduto con la liquidazione «prevista dalla due diligence realizzata dalla giunta Marino» come chiedeva il Pd nella sua mozione bocciata dai grillini, il Campidoglio avrebbe avuto l’obbligo di «garantire il mantenimento dei livelli occupazionali». Senza ricapitalizzazione, invece, per Roma Metropolitane si apre la prospettiva del fallimento e per i 170 lavoratori il rischio concreto di finire per strada. I dipendenti presenti in aula lo capiscono: «Buffoni», urlano contro la maggioranza grillina.
A loro dei «costi lievitati all’inverosimile» denunciati dalla sindaca e del «numero impressionante» di varianti, «quasi due per chilometro, apportate alla linea C in corso d’opera», illustrate dall’assessora Meleo, importa poco. Né che «finora la metro è costata 700 milioni in più per una tratta più breve, di soli 19 km, rispetto ai 3 miliardi previsti per i 25 km dell’intera opera». Oppure che «la metro di Madrid è costata 30 milioni a km, Parigi 65 milioni, Copenaghen 88 milioni, mentre a Roma sono già stati spesi 135 milioni a km».
La metro C senza pace
Ad assistere alla seduta c’era anche una delegazione dei lavoratori della società capitolina preoccupati del loro futuro: “Bisogna garantire i circa 170 posti di lavoro a rischio”, dice una sindacalista. Le opposizioni partono all’attacco: “Questa è la giunta dei verbi coniugati al futuro, per il presente non state presentando atti – ha detto la capogruppo del Pd, Michela Di Biase – Metro C, prolungamento della B e la realizzazione della metro D sono opere fondamentali”. “Questa giunta cosa vuole fare del destino dei lavoratori che sono dipendenti di un’azienda di proprietà del Comune di Roma?”, le ha fatto eco Alessandro Onorato della lista Marchini. Mentre Stefano Fassina ha oltrepassato la posizione dei 5 Stelle chiedendo direttamente la rescissione del contratto con il consorzio metro C. Un duro “j’accuse” arriva pure dal presidente e commissario romano del Pd Matteo Orfini. “L’esperienza Raggi – attacca – è oggettivamente deludente. In questi mesi la risposta amministrativa è stata nulla, con atti di restaurazione del passato peggiore della città, blocco di opportunità di sviluppo”. In ogni caso, spiega oggi il Corriere Roma, la coda giudiziaria per la decisione dei grillini è assicurata, anche perché ieri alla fine il M5S Roma non ha escluso la prosecuzione dei lavori in toto…
Sì, perché nel caso il Comune — con Corte dei conti, Procura di Roma e Anac che da anni indagano sulla terza linea del metrò — dovrà chiedere i danni alle imprese per non assumersi la responsabilità del maxi buco. L’altra strada del Comune è quella di proseguire nei lavori, magari con la trasparenza garantita dal nuovo codice degli appalti (DLgs 50/2016). Di fatto, comunque, il Campidoglio si trova davanti ad un bivio. C’è da fare una scelta, ma prima c’è da rispondere a una domanda: che fine farà la Metro C?
Già per arrivare fino alla fermata stabilita da Raggi c’è da capire che fare della caserma romana rinvenuta a Porta Metronia e quindi inoltrarsi in via dei Fori Imperiali, zona a forte rischio archeologico. Ma più che altro resta in sospeso la tratta T2, segmento strategico di collegamento con San Pietro. Di cui, ad oggi, non esiste nemmeno un progetto, ma solo uno «studio preliminare di contenimento costi» depositato nel 2015 al Ministero dei Trasporti insieme ad una bozza che non prevede fermate in centro storico.