Il “not in my name” di Nathalie Tocci ai talk che ospitano i propagandisti russi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-05-05

La direttrice dell’Istituto Affari Internazionali ha parlato del suo no all’ultimo invito di Giovanni Floris

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I media italiani e il corto-circuito russo. Sempre più talk show – come accaduto, per esempio, a Zona Bianca con l’intervista-comizio al Ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov – stanno dando ampio spazio anche alla “versione russa” della guerra in Ucraina. Nelle dinamiche dialettiche ed etiche, questo atteggiamento “giornalistico” sarebbe corretto. Spesso e volentieri, però, non vi è un contradditorio reale e questo porta la tv italiana ad aver assunto un ruolo – anche a livello di percezione internazionale – di megafono della propaganda del Cremlino. E queste sono alcune delle motivazioni che hanno spinto Nathalie Tocci a dire no all’invito di Giovanni Floris per partecipare all’ultima puntata di “Di Martedì”.

Nathalie Tocci spiega perché non va ai talk con i propagandisti russi

La direttrice dell’IAI – Istituto Affari Internazionali e docente onoraria dell’Università di Tübingen -, nel recente passato ha partecipato a diverse trasmissione televisive, in quanto ritenuta una delle più importanti e affidabili analiste su quel che sta accadendo dallo scorso 24 febbraio in Ucraina. Ma l’evoluzione (o involuzione) della televisione italiana e, in particolare, dei talk show, la spinta a fare un passo indietro. A partire dal suo no all’ultimo invito di Floris. E nel suo editoriale pubblicato su La Stampa, lo ha detto a chiare lettere:

“Non sono disposta a diventare complice della disinformazione e, in quanto tale, alimentare la guerra in corso, una guerra che si combatte tanto sul campo di battaglia quanto sul piano mediatico. Ecco che quando ho saputo che tra gli invitati alla trasmissione ci sarebbe stata una propagandista che lavora per il ministero della Difesa russo ho tirato la linea. Grazie, ma no grazie”.

Questa è la linea che Nathalie Tocci ha deciso di non superare e all’interno della quale riecheggia quel “Not in my name” con cui si conclude il suo racconto. Ma oltre al caso “Di Martedì”, con il riferimento alla presenza (in collegamento) di Nadana Fridrikhson -, l’analisi massmediologica della direttrice dell’IAI va ben oltre e tocca dei nervi ben scoperti negli apparati dell’informazione nostrana in tempi di guerra.

“Se il formato fosse mirato a smascherare la propaganda russa allora non ci sarebbe bisogno della mia presenza. Il lavoro dello smascheratore è del giornalista, non il mio. Nel formato del talk show invece, il conduttore non smaschera le bufale fattuali, non fa fact-checking, bensì le presenta come opinioni che un altro “opinionista” è chiamato a contrastare, peraltro in pochi minuti. Falso e vero vengono messi sullo stesso piano, e la meglio la ha chi interrompe, urla e la butta più in caciara. La disinformazione vuole esattamente questo. L’obiettivo a cui mira è quello di presentare il falso come vero, ma ci si accontenta pure con l’inquinare il vero con il falso, insinuando il dubbio – attraverso la contrapposizione di “opinioni” – in ciò che è vero”.

Dinamiche che, purtroppo, sono sempre più presenti all’interno di molte trasmissione televisive che dovrebbe fare informazione.

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