Opinioni
Morisi è innocente fino a prova contraria, ma la Bestia è colpevole (e impunita)
Lorenzo Tosa 27/09/2021
Il problema non è se Morisi sia colpevole o innocente. Il problema è che, se fosse per Morisi, avrebbe dovuto già marcire in galera con le palle incatenate ai piedi
C’è una parola che, più di ogni altra, è stata spesa o, meglio, sprecata, nel commentare la vicenda di Luca Morisi. E quella parola è garantismo. “Bisogna essere garantisti” dicono. “Ci sono indagini in corso, bisogna attendere.” O, peggio, nella paternalistica versione di Salvini: “Ha commesso un errore, ma ti allungo una mano per aiutarti ad alzarti amico mio.” Tutto giusto, tutto vero. Se qualcuno fosse sbarcato da Marte questa mattina alle 11 ore italiana potrebbe persino pensare che Salvini sia un saggio e moderato politico di centro con una spiccata sensibilità, una certa empatia e una visione laica e moderna su un tema come quello delle droghe. Chi lo dice adesso al marziano che quel Salvini, sì proprio quello che prosegue il post dicendo che “amicizia e lealtà sono la Vita” è lo stesso che, per cinque anni, ha intossicato sistematicamente ogni canale o account social dichiarando che “la droga è morte”, che “la droga è mer**” e chi spaccia deve “marcire in galera”? Chi glielo dice ora al nostro extraterrestre dalle simpatiche orecchie a punta che quello di cui sta parlando Salvini, “l’amico che ha commesso un errore”, è la stessa persona che ha concepito, creato, gestito e armato quella macchina della propaganda tossica che ha pompato questi concetti per 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, per cinque anni, a ciclo continuo, nelle vene di milioni di persone, avvelenando il clima politico, sociale e culturale di un Paese?
Perché il punto è proprio questo. Esistono due piani e due livelli cruciali e non sovrapponibili: c’è il cittadino Luca Morisi, che risponde come qualunque altro cittadino (italiano e non solo) dei suoi errori, delle sue cadute e di eventuali reati, innocente non solo fino a chiusura indagini ma fino al terzo grado di giudizio. E poi c’è il Luca Morisi ex guru di Salvini (se n’è allontanato il 1° settembre con un notevole fiuto e tempismo, va detto) e fondatore della Bestia, l’uomo che ha costruito la più potente e pericolosa macchina del consenso e dell’odio mai concepita nella storia politica repubblicana, che ha trasformato gli ultimi, i fragili, i migranti, i poveri, financo i “drogati” (cit.) nella carne da macello per la loro propaganda tossica, subdolamente razzista, smaccatamente oscurantista, orgogliosamente populista, ferocemente giustizialista.
Quando per anni usi queste armi per affossare ogni avversario politico, facendoti forza delle sue debolezze ed esponendole alla gogna, il minimo che tu possa fare è augurarti di essere il più puro tra i puri, di essere pulito come un giglio di campo, perché il rischio, quando si aprono gli armadi, è che gli scheletri ti travolgano e ti facciano malissimo. E, quando ciò accade, appellarsi a un vuoto o accademico garantismo ha lo stesso retrogusto ipocrita del boia che invoca umanità quando finisce al patibolo. Sarà per questo, in fondo, che l’ultimo ad averlo fatto è lo stesso Morisi, a cui anzi va dato atto di una certo spirito di autocritica quando si difende dall’accusa contestata ma ammette senza mezzi termini di essere “caduto come uomo” a causa – spiega – di “fragilità esistenziali irrisolte”. Anche lui lo sa bene che non è sul garantismo e sui preziosismi giuridici che si gioca la partita, semmai sulle frequenze a lui più vicine e conformi: quelle della comunicazione. Ed è qui e soltanto qui che dobbiamo restare e fermarci quando parliamo di Morisi.
Il problema non è se Morisi usi stupefacenti nel suo tempo libero né, da un certo punto di vista, se spacci o meno. La prima cosa sono affari suoi, la seconda spetta agli inquirenti stabilirlo.
Il problema è che, in questi anni tremendi di politica ridotto a scannatoio pubblico di fatti privati, la “Bestia” di Morisi, attraverso i social di Salvini e della Lega, ha contribuito a intossicare il dibattito pubblico, convincendo milioni di persone che:
a) “La droga è mer**” (ma solo se sei povero ed emarginato).
b) “Gli spacciatori sono assassini e clandestini che devono marcire in galera” (ma non le mafie italianissime che li foraggiano).
c) Ha abbassato sistematicamente il livello del dibattito sulle droghe a uno scontro tra buoni e cattivi, tra brave persone e “tossici” (mentre di nascosto la teneva in casa).
d) Ha accusato un incensurato di origini tunisine di spaccio su soffiata di una vicina di casa processandolo e condannandolo via citofono in diretta social.
Nessuno della Lega si è mai chiesto quali “fragilità esistenziali irrisolte” avesse quel ragazzo, che per inciso non aveva fatto nulla. Nessuno, in questi anni, si è mai chiesto quali drammi (veri), quale condizione di povertà (assoluta) spinga un qualunque migrante a spacciare – sbagliando – nelle mani della criminalità organizzata, per pochi euro e un tozzo di pane.
Ora che è lui a finire in quella gogna social da lui stesso creata, ora che milioni di persone si vedono passare su un piatto d’argento l’occasione di restituire a Morisi il trattamento che lui ha riservato a migranti, donne, gay, rom e a qualunque altra minoranza, la cosa migliore che possiamo fare per noi stessi è comportarci esattamente all’opposto di quello che avrebbe fatto l’ormai ex guru caduto in disgrazia. Nessuno sta dando a Morisi del criminale o dello spacciatore e, per quanto mi riguarda, è innocente fino a sentenza definitiva. Come chiunque altro. Perché noi non siamo e non saremo mai come loro, e non lo ripeteremo mai abbastanza.
Solo, se ne avessi l’occasione, sarebbe bello citofonare alla sua casa di Belfiore (a pochi chilometri da Verona), senza alcun indice puntato né alcuna rabbia o giudizio umano o politico, solo per chiedergli cosa si prova, per una volta, una soltanto, ad essere dall’altra parte del filo, dalla parte opposta di quella gogna, ad essere additati, massacrati, messi all’indice come per anni la sua “Bestia” ha fatto con chiunque, se, in fondo, ne valeva la pena. Solo questo. Perché gli errori passano (e, nel caso, si pagano), ma i danni prodotti da quell’ipocrisia sono ancora lì, davanti a noi, ci siamo immersi tutti quanti, fino al ginocchio, colpevoli e innocenti. E non risparmia nessuno.