Mohamed Lahouaiej Bouhlel: il killer di Nizza ha agito da solo?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-16

Un lupo solitario depresso, violento e pericoloso con la famiglia. Ma poco o per nulla religioso secondo chi lo conosceva. Per adesso prove di una sua radicalizzazione non ce ne sono. Eppure ha agito eseguendo esattamente gli inviti pronunciati dall’Isis

article-post

Mohamed Lahouaiej Bouhlel, 31 anni, origini tunisine e residente a Nizza, faceva l’autotrasportatore. Era arrivato in Francia a metà degli anni Duemila da Msaken, cittadina a 140 km da Tunisi, nel governatorato di Sousse, lo stesso del massacro di turisti sulla spiaggia, l’anno scorso. Nella sua fedina penale risultano piccole denunce, violenze, liti. A marzo era stato condannato a 6 mesi per violenze contro un automobilista (lo aveva colpito con una mazza da baseball perché gli aveva chiesto di spostare il suo veicolo), condanna poi sospesa. Nel 2012 l’uomo, padre di tre bambini, era stato allontanato in via legale dal precedente domicilio per violenze domestiche.

Mohamed Lahouaiej Bouhlel è un lupo solitario?

Il padre e altri esponenti della famiglia sarebbero stati individuati come «estremisti» sotto il regime di Ben Alì. Ma questo è l’unico indizio che fa pensare a Bouhlel come a un radicalizzato. In Francia viveva con un regolare permesso di residenza per aver sposato una cittadina franco-tunisina. Al suo paese non tornava da quattro anni, forse quest’anno voleva portarci il figlio più piccolo. Non era uno dei famigerati “schedati S” ossia le persone schedate come vicine ad ambienti estremisti. Ieri gli uomini dell’antiterrorismo hanno perquisito l’appartamento dell’attentatore in boulevard Henri-Sappia. Due camere quasi prive di mobili e con un computer. Si spera che da li possano arrivare alcune risposte. Capire con chi Mohamed era in contatto, chi è riuscito a trasformare un anonimo autotrasportatore in un assassino. La delusione per un matrimonio fallito e i problemi economici non bastano per gli inquirenti come movente di una strage di queste dimensione e messa a segno con tecniche jihadiste. I magistrati non sono convinti che Mohamed Bouhlel possa aver fatto tutto da solo. Sulla Promenade des Anglais ieri sono state smontate una ad una più di mille telecamere di videosorveglianza. Hanno ripreso non solo la corsa di morte del tir, ma anche gli spostamenti precedenti compiuti dall’assassino. Il cui gesto ad oggi rimane incomprensibile a tal punto da aver scatenato una polemica tra Valls e Cazeneuve sulle prove, finora mancanti, della sua radicalizzazione. Scrive Alessandra Coppola sul Corriere della Sera:

«L’ho visto scaricare dei mobili — racconta Babacar Dien, terzo piano —. Vestiti pratici, pantaloni corti o jeans, mai notato nulla di strano, non portava la barba lunga, non salutava salam aleykum…». Non dava confidenza, certo. Il massimo dell’intimità sul pianerottolo s’era realizzato in uno scambio di sigarette: «La vicina gli aveva detto che io possedevo dei pacchetti di senegalesi — continua Babacar —, me li è venuti a chiedere e gliene ho venduti due. Un uomo alto, asciutto, di bell’aspetto. M’era sembrato molto tranquillo». Forse un po’ triste, aggiunge. Yasmine, al piano terra, l’ha visto attraversare l’atrio sempre da solo: «Un’unica volta in compagnia dei figli».
Ne aveva tre, rimasti a vivere dalla moglie che ormai stava diventando ex: da oltre un anno Bouhlel s’era trasferito nella zona orientale senza la famiglia. Ma probabilmente, non aveva ancora cambiato la residenza. Il primo intervento della polizia francese, ieri mattina, è stato allora al vecchio domicilio, Nizza Nord, al dodicesimo piano di un casermone bianco e arancione, un citofono dai cognomi più diversi, italiani compresi, lo zerbino «welcome» rimasto capovolto, pile di acqua minerale e succhi di frutta che s’intravedono dai buchi della porta forzata dagli agenti. Il dirimpettaio polacco è costernato: «Lo incrociavo per le scale, buongiorno e buonasera — anche lui dice così —, non avrei mai potuto immaginare. Per lo più restava muto».

Mohamed Lahouaiej Bouhlel 1
Dove ha colpito il terrorismo in Francia (La Repubblica, 16 luglio 2016)

Bouhlel è emigrato in Francia una decina d’anni fa, prima della primavera araba e della caduta di Bel Alì, i documenti risultano in regola: sulla carta di soggiorno la scadenza è al 14 gennaio 2019. Non aveva nulla del radicalizzato, aveva molto del violento anche secondo il ritratto di Carlo Bonini su Repubblica:

Rashid spiega di ricordarle ancora le grida di Mohamed. Quasi quanto i suoi muscoli, coltivati ossessivamente in palestra. «Picchiava la moglie. La picchiava spesso. Urlava. Soprattutto nell’ultimo periodo, prima di separarsi». Già, quel giorno, quello in cui si richiuse la porta alle spalle, imbrattò della sua merda l’appartamento, defecando dove poteva e fin quando non ne ebbe più. Quindi, squartò con un coltello gli orsacchiotti di pelouche della figlia più piccola, per poi fare a pezzi i materassi del suo letto matrimoniale e quelli dei suoi bambini. Poi sparì. Salvo cominciare a ripresentarsi saltuariamente con i modi e il fare gentile del padre separato che viene a trovare i suoi figli in attesa della sentenza di divorzio.
Maxim, un condomino sulla quarantina, ne parla accarezzando la testa dei suoi due bambini maschi. «Mohamed? Certo che lo conoscevo. Parlavamo spesso della scuola dei suoi e dei miei ragazzi. E posso dirti che quello che ha fatto alla Promenade con la religione e l’Islam non c’entra nulla. Se proprio dovessi dire, aveva un solo problema. Finanziario. Negli ultimi tempi se la passava male. Insomma, Mohamed beveva, non rispettava il Ramadan. Gli piaceva andare a ballare la salsa. Era sempre profumato» . Né si vedeva mai in moschea, a sentire la locale “Association culturelle Nice nord” per l’integrazione religiosa e razziale. Un luogo non lontanto da boulevard Henri Sappia, dove Mohamed era conosciuto. Ma proprio per l’assenza di qualsiasi passione che ricordasse la sua fede, piuttosto che la sua terra di origine.

Mohamed Lahouaiej Bouhlel 11
Mohamed Lahouaiej Bouhlel: la foto del permesso di soggiorno (fonte)

Il terrorismo fai-da-te che sfugge all’intelligence

 
Cosa ha trasformato Bouhlel in un assassino? Vicende personali come il fallimento del matrimonio o i guai giudiziari legati a una rissa dopo un incidente stradale? Oppure l’incontro con elementi radicalizzati in una città come Nizza, che ha fornito a Is o Al Qaeda un centinaio di foreign fighters? Nonostante Cazeneuve, il personal computer ritrovato nella casa di Bouhlel avrebbe portato qualche prova del suo collegamento con la mattanza islamica e la Jihad. Spiega ancora Bonini:

Che esista un secondo stadio, una sorta di evoluzione “finale” e “definitivamente asimmetrica” del Terrore seminato dai cosiddetti “lupi solitari”. Quello che li vorrebbe “neutri”, impermeabili nei modi e nelle parole (quantomeno quelle pubbliche) al “radicalismo islamista”, che è poi primo e unico degli indizi che, in qualche modo, li rendono riconoscibili alla comunità in cui vivono prima ancora che ai poliziotti che dovessero avere la fortuna o l’intuito di individuarli. Che li vorrebbe dunque “fantasmi”, estranei a qualsiasi forma di censimento preventivo (come sono in Francia le cosiddette fiches “S”, le segnalazioni che accompagnano i profili ritenuti a rischio) di fronte anche alla più occhiuta e penetrante delle polizie di prevenzione.
Consegnandoli tutt’al più, come era del resto accaduto a Mohamed, a piccoli precedenti penali. Violenza, armi. Quelli che, ancora oggi, fanno dire all’avvocato Corentin Delobel, suo legale nel processo per rissa dell’inverno scorso, che «nulla avrebbe mai fatto immaginare che quell’uomo potesse commettere atti di tale disumanità». E a suo padre, Mohamed Mondher Lahouaiej Bouhlel, che suo figlio, di cui aveva perso i contatti da cinque anni, «aveva un solo problema. La depressione. Ne soffriva dal 2002. Prendeva dei farmaci».

Mohamed Lahouaiej Bouhlel 3
L’ultima parte del percorso stragista di Bouhlel (Corriere della Sera, 16 luglio 2016)

Dall’analisi del telefonino ritrovato nella cabina del Tir, sembra che Bouhlel avesse chiamato solo contatti in Francia (e non in Siria e Iraq). Eppure ha agito eseguendo esattamente gli inviti pronunciati dall’Isis.  Sul telefono cellulare trovato nel camion compaiono tra i contatti alcuni nomi “interessanti”, tra cui quello di Omar Diaby, jihadista di spicco di Nizza ma legato ai qaedisti del fronte Al Nusra, non allo Stato Islamico. Lo rivela Le Monde che cita una fonte vicina all’indagine. “Ci stiamo lavorando su, ma è ancora troppo presto per trarne conclusioni”, precisa tuttavia la fonte, aggiungendo che finora nessun elemento permette di confermare che queste conoscenze non siano casuali.

Potrebbe interessarti anche