Michela Murgia usa lo “schwa” e non il maschile per il gruppo misto di persone: cosa dicono i linguisti?

di Giorgio Saracino

Pubblicato il 2021-06-08

È la prima volta che lo schwa (ə) finisce su un articolo di giornale per indicare il genere misto. E così si (ri)accende la polemica tra conservatori e progressisti della lingua. Ma soprattutto tra quelli che attaccano gli altri di esacerbare il politically correct

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C’è una vecchia diatriba: da una parte quelli che ritengono che la lingua sia in continua evoluzione (e che sia così perché appartiene a chi la parla), dall’altra invece quelli che pensano che la lingua abbia delle leggi, assolutamente da rispettare. Per intenderci: i primi potremmo chiamarli i progressisti, i secondi i conservatori. Si tratta di una questione così antica che veniva dibattuta fin dai tempi dell’antichità: tra le fila dei progressisti c’era ad esempio Cicerone (che mescolava i vari registri per essere più efficace), tra quelle dei conservatori invece Cesare. Da duemila anni in questo dibattito nulla è cambiato, tranne la lingua, che invece -mentre gli intellettuali ne discutevano- è mutata. Eccome.

Tra le poche certezze di questo discorso ve ne è una che primeggia: mai chi si metterà al tavolo a dibattere sulla questione, se di pareri opposti, troverà un punto di incontro. Un po’ come se uno davanti all’altro sedessero due leader di altrettante formazioni politiche differenti. Ed è quello che sta succedendo in queste ore, dopo che la giornalista e scrittrice Michela Murgia ha pubblicato un articolo su L’Espresso (quantomeno) un po’ bizzarro. E cioè: per indicare un gruppo di persone, non ha usato il genere maschile (e quindi la desinenza al maschile come prevede a oggi la lingua italiana), ma ha preferito utilizzare lo schwa. Perché? Perché -sostiene: perché mai se un gruppo è composto sia da uomini che da donne, il maschio debba spuntarla e si debba usare la desinenza al maschile? Domanda lecita, ma che presta il fianco a molti attacchi.

Ma che cosa è lo schwa?

Questa è sicuramente una delle prime domande a cui chi ha letto il pezzo o chi si è imbattuto in questa polemica ha dovuto trovare risposta. Lo schwa (il cui simbolo è questo sorta di “e” al contrario: ə), è una vocale centrale media, che corrisponde -come lo definisce l’Enciclopedia Treccani- a un suono “arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità”, valido più per la forma scritta che per quella orale. Facciamo un esempio: se dovessi dire ad alcuni ragazzi (un gruppo misto di ragazze e ragazzi”, di studiare la grammatica italiana, dovremmo scrivere: “Ragazzə studiate la grammatica italiana, perché è importante”. Che tutto sommato, è quello che staranno pensando quelli che rientrerebbero nella categoria a cui abbiamo dato il nome di “conservatori”.

Perché -su questo non c’è dubbio e discussione alcuna- la lingua italiana non prevede un genere neutrale (nel greco e nel latino c’era però il neutro: forse erano più avanti di noi?). Non solo: nella lingua italiana le vocali sono cinque, e tra queste non vi è lo schwa. E ancora: la lingua italiana prevede che per i gruppi misti l’unica forma corretta sia il maschile. Che piaccia o no, ora è così. Ma se quella è una certezza, è altrettanto una certezza che la lingua evolva, e che appartiene ai suoi parlanti. E, quindi, è inutile opporsi al flusso degli eventi (linguistici). Per questo sarà una lunga battaglia per i progressisti, ma alla fine la spunteranno. Un esempio, che è più un paradosso (paragonabile solo in parte perché frutto della scarsa istruzione e non di un tentativo di innovazione linguistica): fino a poco fa venivano fustigati quelli che dicevano “mentre invece” o “a me mi”. A loro oggi è dato il benvenuto, perché ormai l’Accademia della Crusca (che è un po’ il Quirinale della lingua italiana), ha detto che si può. Solo su alcune cose gli accademici che controllano la lingua dal 1583 non transigono, perché errate. Lo schwa (ə) per indicare il gruppo misto farà parte di queste?

 

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