Mario Castagnacci e Paolo Palmisani: l'interrogatorio degli indagati di Alatri

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-03-31

Castagnacci nega di aver partecipato al pestaggio nonostante le testimonianze. Palmisani si avvale della facoltà di non rispondere. L’avvocato di due buttafuori dice che non è stato usato il manganello con la scritta “Boia chi molla”. Intanto oggi si è aperta la camera ardente per Emanuele Morganti

article-post

Sono stati interrogati ieri dal procuratore di Frosinone Giuseppe De Falco, i due giovani di Alatri fermati con l’accusa di aver ucciso Emanuele Morganti. Di fronte al magistrato, Mario Castagnacci ha negato gli addebiti a suo carico, sostenendo di essere stato presente sul luogo dell’aggressione ma di non aver partecipato al pestaggio. Paolo Palmisani, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Mario Castagnacci e Paolo Palmisani non rispondono al GIP

Una versione che gli inquirenti ritengono poco credibile anche alla luce delle testimonianze raccolte fino ad ora. Davanti al procuratore l’altro fermato, Palmisani, ha scelto invece di avvalersi della facoltà di non rispondere. Anche quando sono stati interrogati oggi dal Gip entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Giampiero Vellucci, l’avvocato che difende due delle quattro persone del servizio d’ordine indagate per rissa in seguito all’omicidio di Emanuele Morganti, ha invece sostenuto che “il manganello che è stato ritrovato all’interno dell’auto di uno dei due buttafuori non è stato usato. E ne abbiamo la prova provata”. Secondo l’avvocato “Il manganello che aveva in auto uno dei miei due assistiti era facilmente riconoscibile dato che è molto colorato e con la scritta ‘boia chi molla’. Tra l’altro era nell’auto del buttafuori che, stando anche alle testimonianze, non è entrato in contatto con il ragazzo”.

alatri manganello boia chi molla
Foto da: Pianetaregalo

Restano intanto in carcere i due giovani. Il gip Anna Maria Gavoni ha infatti convalidato il fermo dei due alatresi, emettendo anche l’ordinanza di misura cautelare in carcere. Decine di persone, tra parenti e amici, sono intanto arrivati oggi alla camera mortuaria del policlinico di Tor Vergata a Roma per l’ultimo saluto a Emanuele. Lacrime e abbracci tra i numerosi amici del ragazzo all’arrivo nell’ospedale della Capitale. “E’ inspiegabile – racconta un amico di infanzia di Emanuele – quella sera purtroppo non c’ero, ma è stato toccato il fondo. E’ una tragedia enorme”. Da pochi minuti sono arrivati anche i genitori del ragazzo, circondati dall’affetto di parenti e amici. “Non ci sono parole”, ripetono in molti nel piazzale davanti l’ingresso dell’obitorio.

Emanuele Morganti: l’ANM Roma difende il giudice

Nel frattempo il consigliere non togato del Consiglio Superiore della Magistratura, Pierantonio Zanettin, ha chiesto al Comitato di Presidenza del Csm “l’apertura di una pratica in Prima Commissione, per valutare se emergano profili di incompatibilità, ex art. 2 della legge sulle guarentigie dei magistrati, nàa’ di stupefacenti e fosse recidivo”. Secondo Zanettin, “la vicenda processuale, frutto di una interpretazione giuridica del fatto reato, che può essere definita, nella migliore delle ipotesi, benevola, merita un approfondimento da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, per verificare la correttezza dell’iter”.

La giunta dell’Associazione nazionale magistrati di Roma e Lazio ha però stigmatizzato “le dichiarazioni di alcuni politici di rilievo nazionale, riprese con sorprendente superficialità da una parte della stampa, tendenti a ricollegare” la vicenda di uno dei due alatresi, coinvolti nell’omicidio di Emanuele Morganti, rimesso in liberta’ dal tribunale di Roma il giorno prima del delitto dopo essere stato fermato per detenzione di droga. “Tali affermazioni – si legge in un documento firmato da Costantino De Robbio e da altri sei magistrati che compongono la giunta -appaiono estremamente gravi ed assolutamente non condivisibili. Poco opportuna riteniamo altresì la scelta di riportare sulla stampa il nominativo del giudice che avrebbe, secondo quanto si legge, convalidato l’arresto senza applicare alcuna misura cautelare, dopo la suggestiva riflessione che in caso di adozione della misura della custodia in carcere la vittima del pestaggio sarebbe ancora vivo. Tale accostamento comporta una chiara indicazione di responsabilità che non ha fondamento alcuno da un punto di vista giuridico: nell’articolo si indica infatti chiaramente che anche il pm non aveva chiesto misure detentive, sicché come è ovvio il giudice non avrebbe mai potuto applicare la misura che secondo l’articolista avrebbe salvato la vita della vittima”.

Potrebbe interessarti anche