Marco Cappato si autodenuncia a Milano dopo la morte di Elena in Svizzera | VIDEO

di Asia Buconi

Pubblicato il 2022-08-03

Lo aveva detto e lo ha fatto: il momento in cui Cappato entra nella caserma dei Carabinieri a Milano e le parole con cui motiva il gesto

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È di ieri la notizia della morte in Svizzera della pensionata di Spinea accompagnata da Marco Cappato in una clinica elvetica per ottenere il suicidio assistito. La donna, 69 anni, era stata colpita da un tumore ai polmoni e da diverse metastasi: il suo destino era praticamente segnato, da qui la decisione di rivolgersi a Cappato. “Elena ha appena confermato la sua volontà: è morta, nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso”, aveva scritto il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni su Twitter. Poi, l’annuncio: “Mercoledì 3 agosto in Italia andrò ad autodenunciarmi”.

Marco Cappato si autodenuncia a Milano dopo la morte di Elena in Svizzera | VIDEO

E così è stato: un’autodenuncia per il reato di aiuto al suicidio è stata presentata da Marco Cappato alle 11,15 di oggi alla caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine, a Milano. La fattispecie è prevista dall’articolo 580 del Codice penale e prevede pene fino ai 12 anni di reclusione, dato che il caso della pensionata non rientra tra quelli contemplati dalla Corte Costituzionale, in quanto la donna non era tenuta “in vita da trattamenti di sostegno vitale”.

“Oggi mi reco alla caserma dei carabinieri per raccontare l’aiuto fornito a Elena – ha spiegato Cappato parlando con la stampa prima di entrare in caserma – senza cui non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera. E spiegherò ai Carabinieri che per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato o se c’è la reiterazione del reato. O se c’è discriminazione come noi riteniamo tra malati

Cappato poco fa ha ufficializzato la notizia dell’autodenuncia attraverso un post su Facebook in cui ha scritto: “Sto entrando nella stessa caserma dell’autodenuncia per dj Fabo. Ci hanno sbarrato la strada delle leggi di iniziativa popolare e Parlamentare, dei referendum. Non ci arrendiamo”.

Perché Marco Cappato si è autodenunciato e cosa succede adesso

In Italia, il suicidio assistito è disciplinato dalla sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019, che di fatto ritene non punibile “ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Si tratta della sentenza che ha evitato che Marco Cappato finisse in carcere nel 2017 per l’aiuto prestato al dj milanese Fabiano Antoniani, detto Fabo: in breve, la Corte stabilì che chi aiuta al suicidio non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale a determinate condizioni. Proprio in nome di tale sentenza, la Corte d’Assise di Milano il 23 dicembre 2019 ha assolto Marco Cappato. Poi l’altra assoluzione, nel 2020, per aver aiutato a morire il malato di sclerosi multipla Davide Trentini, non tenuto in vita da macchinari ma che riceveva il trattamento di sostegno per le cure farmacologiche.

Oggi, però, le cose potrebbero essere molto diverse per il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. La 69enne veneta a cui ha prestato aiuto, infatti, manca del primo requisito previsto in via giurisprudenziale, ovvero quello di essere “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Per questo motivo, ora più che mai, l’atto di Marco Cappato si caratterizza come una nuova e importante forma di disobbedienza civile, che potrebbe portare in Italia a conquiste decisive in tema di suicidio assistito.

 

 

 

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