L’urlo di Giorgia Meloni è il grado zero della politica

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2021-01-18

L’opposizione, nel linguaggio populista-sovranista, ha cessato da un pezzo di essere terreno di confronto, pungolo e stimolo all’azione di governo per diventare a tutti gli effetti un’arena in cui affondare il nemico e distruggere l’avversario.

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Sono le ore 18.30 a Montecitorio quando arriva il turno di Giorgia Meloni. Dopo il discorso del Presidente del Consiglio Conte, è il momento più atteso della giornata, quello che un po’ tutti attendevano, a conclusione di una giornata in cui le parole contavano decisamente più dei numeri.

La leader di Fratelli d’Italia lo sa e non tradisce le attese. Da consumato istrione parlamentare – visto che di politico ormai è rimasto poco o nulla – esordisce così:

“Avvocato Conte, questa mattina io mi sono vergognata per lei”, tanto per dare un saggio del livello che terrà nel corso del suo intervento. 12 minuti e 52 secondi durante i quali, in una Camera ridotta a mercato, una ululante Giorgia Meloni esibisce tutto il proprio repertorio: battute, slogan, urla, strali. Il tutto senza mai entrare nel merito di un solo approfondimento del governo, limitandosi a solleticare la pancia dell’opposizione, a cavalcare la rabbia di commercianti e ristoratori, la protesta degli studenti, a tracciare fantasiosi scenari di benessere e prosperità in caso di un governo di centrodestra che nessuno – lei per prima – avrebbe mai voluto la sventura di dover mettere alla prova.

Perché questo, in fondo, è il punto: l’opposizione, e il Parlamento in generale, con Meloni, Salvini e i populisti del sovranismo ha cessato da un pezzo di essere terreno di confronto, pungolo e stimolo all’azione di governo per diventare a tutti gli effetti un’arena in cui annichilire la controparte, affondare il nemico, distruggere l’avversario.

In uno dei passaggi più forti, afferma:

“Siamo di fronte a un’epodemia trasformata in mangiatoia. Se fosse capitato a un governo di centrodestra si sarebbero mosse tutte le procure d’Italia, sarebbero arrivati i caschi blu dell’Onu, gli incursori della marina.”

Questo è il livello del dibattito. Non un solo dato che non arrivi da qualche infografica di partito copiata su un foglio d’appunti  da mandare a memoria,, non una sola proposta nel merito, non una sola idea, visione. Siamo alla politica al suo grado zero. Quello della pancia e dell’urlo. E con un urlo, non a caso, si chiude la sua performance teatrale (difficile definirla diversamente).

“L’Italia non può più permettersi gli improvvisati. Ha bisogno di qualcuno che abbia capacità. Adesso è il tempo dei patrioti.”

Siamo all’apoteosi del populismo e dell’estremismo, eppure quando ascolti Giorgia Meloni parlare alla Camera non puoi fare a meno di tirare qualcosa di simile a un sospiro di sollievo nel vedere, nell’atto in cui si compie e si realizza, quello che abbiamo rischiato di ritrovarci al governo di questo Paese in questi 12 mesi di pandemia se un’altra crisi, quella del Papeete, non avesse riportato la peggior destra della storia repubblicana tra le braccia di un rassicurante oblio. E, al tempo stesso, è un monito di quello che ci aspetta nei prossimi cinque anni. Non dimentichiamolo.

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