Fatti
Dal 1992 con furore: tutte le volte che la Lega ha minacciato lo sciopero fiscale
Alessandro D'Amato 15/09/2014
Dalla rivoluzione americana all’indipendenza indiana, la parola d’ordine «No taxation without representation» era una cosa seria. Solo in Italia è una burletta. Perché a forza di gridare «Al lupo, al lupo…»
«No taxation without representation»: c’era una volta in cui gli scioperi fiscali erano una cosa seria. Di più: erano la base della rivoluzione americana, dove si coniò il motto, della lotta per l’indipendenza indiana capeggiata dal Mahatma Gandhi, ne fu organizzata persino una contro la guerra in Vietnam. In Italia la Lega di Matteo Salvini agita lo spettro per l’ultima volta dal 20 luglio scorso, seguito anche da rappresentanti delle istituzioni come Maroni e Zaia. Ma quanto tempo è che la Lega Nord sventola la bandiera dello sciopero fiscale, salvo poi ritirare tutto sul più bello ogni volta e trollare impunemente i cittadini del Nord intanto che piazza ieri il figlio di uno e oggi la compagna di un altro nelle istituzioni? Non da tantissimo. Soltanto da quando è nata.
TUTTE LE VOLTE CHE LA LEGA HA LANCIATO LO SCIOPERO FISCALE
Era infatti il giugno del 1992 quando l’allora ideologo della Lega Gianfranco Miglio, in seguito grande accusatore di Bossi nel processo Enimont, gettava il cuore oltre l’ostacolo:
All’epoca era ancora tutto un “potremmo” (quando si tratta di diamanti e chiamate per assunzione diretta in Regione Lombardia, invece i dirigenti leghisti di solito possono), ma le idee erano sempre le stesse:
Noi siamo un movimento rivoluzionario pacifico ma adopereremo dei mezzi politici distruttivi, come uno sciopero fiscale mirato che mettera’ lo Stato nemico con le terga a terra. Questa e’ la guerra politica che prepariamo . dice Miglio . ma non certo sparare. Noi siamo fondamentalmente pacifici ma…incazzati “. Poco accademico il gergo del professore, ma efficace e denso di interrogativi. Che cosa significa uno sciopero fiscale mirato? Per tutta la giornata di ieri si e’ cercato di ottenere una risposta dai leader della Lega Nord, ma erano tutti contemporaneamente assenti, o appena usciti da aule di commissione o appena entrati in altre aule. In realta’ , l’ ideologo ha ripreso una vecchia minaccia leghista. Altre volte i “lumbard”, nei momenti piu’ acuti della loro polemica contro “lo Stato centralista”, hanno dichiarato che la loro mossa decisiva sarebbe stato uno sciopero fiscale. Ieri sera, Gianfranco Miglio precisava: “Se non si facessero le riforme, noi potremmo, come extrema ratio, invitare i cittadini del Nord a non pagare le tasse. Non so al momento come lo organizzeremmo questo sciopero. Penso che lo useremmo come atto di contestazione civile”. E questo sarebbe un atto di ribellione molto grave, che avrebbe inevitabili ripercussioni sulle entrate dello Stato, ma che soprattutto si configurerebbe come una rivolta di drammatica portata sociale. (dal Corriere della Sera del 24 giugno 1992)
Che cosa caspita fosse lo «sciopero fiscale mirato» non lo sapremo mai. Di certo c’è che anche il Senatùr le sparava grosse all’epoca:
E aveva una capacità di predizione del futuro che al confronto il pendolino di Maurizio Mosca impallidisce:
Ieri sera Umberto Bossi ha fatto capire che la situazione italiana si potrebbe comprendere meglio, in tutta la sua complessita’ , in autunno. A settembre e a ottobre, con i problemi sociali ed economici che esploderanno, ci dovrebbe essere, nella previsione dei leghisti, una sorta di chiarificazione finale tra le forze federaliste e quelle centraliste. Il “senatur” non ha dubbi che saranno i federalisti a vincere la partita perche’ la spinta popolare al cambiamento sara’ ancora piu’ forte. Si faceva notare ieri sera che non sara’ neppure necessario lanciare una parola d’ ordine come lo “sciopero fiscale”, sara’ la stessa gente che, esasperata di fronte agli errori di questo Stato, decidera’ di non pagare piu’ le tasse (dal Corriere della Sera del 24 agosto).
Un anno dopo, ma sempre d’estate, il refrain era lo stesso (e sempre a luglio, come Salvini stavolta: coincidenze?):
“Stia bene attento il presidente Scalfaro, per adesso lo chiamiamo presidente, se non scioglie il Parlamento, se non si indicono elezioni dopo l’ approvazione della legge finanziaria, noi facciamo lo sciopero del fisco”. Qualcuno obbietta a bassa voce: “Lo ha gia’ promesso altre volte e non lo ha mai fatto”. Ma Roberto Maroni, il capogruppo leghista alla Camera, risponde al volo: “Questa e’ una situazione differente. Non si puo’ piu’ aspettare” (dal Corriere della Sera del 12 luglio 1993)
Anche in quell’occasione, come in questa c’era Maroni che faceva sì sì con la testolina (ruolo che gli ha permesso di essere per vent’anni numero due di Bossi). E anche quella volta non se ne fece niente. C’è da dire che anche all’epoca il Senatùr era un trascinatore di folle:
Sulla storia di quelle frasi venne anche aperta un’inchiesta e Bossi fu indagato. Tutto si risolse con un nulla di fatto. Ma cinque anni dopo Bossi ha avuto un’altra ideona:
Era l’epoca della Bicamerale, e stavolta eravamo in febbraio: «Se la Bicamerale non riconosce subito il diritto all’autodeterminazione noi padani ci vedremo costretti a reagire… Speriamo che la Bicamerale diventi il possibile luogo della mediazione… Ma se dovessimo essere smentiti, da subito scattera’ lo sciopero fiscale. Sarebbe auspicabile gia’ con il 740…». Non bastò né il 740, né il 750, né il 760: nessuno sciopero fiscale funestò la raccolta delle entrate nel 1997.
UNA LEGA DI RUTTI E DI GOVERNO
Passano dieci anni. Nel 2007 la Lega esce da un quinquennio di governo, e le condizioni dei cittadini del Nord non sono cambiate né punto né poco. Al governo c’è Romano Prodi e Umberto si mette in testa un’idea da far invidia a Cesare Ragazzi:
E anche allora c’era chi ricordava lo sciopero del 1992 sforzandosi di non ridere:
Insomma, lo sciopero fiscale lanciato per la prima volta dal professor Miglio nel 1992 e rilanciato l’ anno successivo sul sacro prato di Pontida da Bossi in persona torna in agenda politica. Qualcosa di più aggiunge Roberto Calderoli. A casa influenzato, si dedica allo studio della materia in vista di un incontro con Giulio Tremonti a Lorenzago previsto per oggi, fatte salve le condizioni di salute. «Non si tratta esattamente di uno sciopero. Noi le tasse le vogliamo pagare, ma alle Regioni. Io l’ ho chiamato secessione fiscale, anche se a Tremonti il termine non piace». In ogni caso, prosegue, «il meccanismo lo abbiamo già in mente, ora stiamo cercando di trovare il modo per non far scattare sanzioni nei confronti dei cittadini». Al centro, sembra di capire, c’ è una manovra sul credito di imposta. Si tratta, anche per il vicepresidente del Senato, dell’ arma finale contro il governo: «Prodi è sostenuto in buona parte da partiti di spesa. Se non c’ è niente da spendere, salta tutto».
Qualche mese dopo la Lega cerca di coinvolgere nell’iniziativa il comune di Milano, dove regnava la Moratti e la città appariva sempre più come un feudo del Carroccio. E indovinate un po’ chi era a rompere le scatole in Consiglio comunale:
Il capogruppo del Carroccio in Consiglio comunale, Matteo Salvini, annuncia già che alla ripresa dei lavori su questo punto la Lega Nord presenterà una mozione. «Chiediamo formalmente alla Moratti – ha detto Salvini – di mettere a disposizione dei milanesi un conto corrente su cui versare le loro tasse nel 2008 per fare metropolitane, case popolari e parcheggi invece di buttarle nel pozzo senza fondo romano». Secondo un’ indagine presentata ieri dall’ associazione degli artigiani di Mestre, Milano è la città in cui si versa, in valore assoluto, il contributo procapite più alto al fisco di regione, provincia e comune. «Questo non significa che lo sciopero debba valere anche contro gli enti locali – precisa Salvini -. Le vere sanguisughe sono a Roma, qui almeno vediamo come vengono spesi i nostri soldi».
Qualche tempo dopo alla Lega si aggiunse Giulio Tremonti, che disse di vedere in Gandhi un modello. E il 20 agosto, con un’intervista ad Affari Italiani, persino Beppe Grillo. Coincidenze? E chissà cosa avrà pensato chi nel 2011, in occasione della scenetta dei ministeri al Nord, lesse il seguente titolo di giornale:
E l’Umberto, con chi ce l’aveva stavolta:
Ieri sera, intanto, in un comizio a Viadana (Mantova), un lapidario Bossi ha fotografato così la situazione: «Spero che in cabina elettorale la gente vada al sodo, Berlusconi è sotto pressione al massimo perché viene un momento molto difficile». Era dagli anni ruggenti del ‘ 92-93 che non si sentivano proclami leghisti così forti: con Tangentopoli appena scoppiata, il Senatur lanciava la Repubblica del Nord e invitava a non pagare l’ Imposta straordinaria sugli immobili. Ora Calderoli rievoca lo slogan dei coloni americani del ‘ 700: «Ci sono problemi sui ministeri al Nord? Vorrà dire che la frase “No taxation without representation” diventerà “No representation? No taxation”».
Anche nel 2012 la Lega tornò ad agitare il fantasma dello sciopero fiscale, stavolta contro l’Imu. E anche stavolta non se ne fece niente. Oggi, ad appena 22 anni dalla prima sortita, tocca a Salvini, appoggiato da Zaia, Maroni e Tosi.
Parole, parole, parole che ormai nemmeno causano la reazione dell’epoca. Si vede che più che la favola di Pierino e il lupo (dove alla fine la bestia arriva) ormai come paragone letterario è più adatto Aspettando Godot.
(foto di copertina da Flickr)