Le presunte rapine con l'ipnosi a Milano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-05-29

Sembrava una leggenda metropolitana, ma una colf filippina ha raccontato di essere stata derubata con la tecnica dell’handshake induction

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Pietro Colaprico su Repubblica di oggi racconta una storia che sembrava una leggenda metropolitana fino a pochi giorni fa: quella delle rapine con l’ipnosi a Milano. Tutto parte dalla testimonianza di un collaboratrice familiare di nazionalità filippina:

«Era poco prima dell’una, stavo alla fermata del tram per andare a lavorare a Porta Romana. Dalle spalle mi si avvicina una signora: “Mi aiuti, non parlo bene, sa dov’è questo indirizzo?”. Mi mostra un foglietto piccolo, ripiegato, leggo, la via ha un nome simile a una che ho sentito, ma non la conosco. “Provi con il signore davanti a lei”, mi dice e insiste. Io passo il foglietto, lui si gira, mi guarda e mi tocca la mano, come se fosse una carezza, e il foglietto non è più piccolo, è lungo ed è pieno di scritte diverse». È appena cominciata l’opera di «aggancio». È stata realizzata con la signora L., colf, da venticinque anni in Italia, minuta e gran lavoratrice. Gli scettici non mancheranno, ma anni fa un poliziotto si è “svegliato” un attimo prima che finisse derubato e si parla da anni di rapine con l’ipnosi.
È, come si capisce dal racconto di L., un termine improprio: le vittime sono incappate in ciò che i mentalisti e i prestigiatori chiamano «rottura dello schema». L. stava infatti correndo a uno dei suoi tre lavori, è gentile e ha provato a rispondere. Le sue normali percezioni vengono spiazzate dalla confusione creata ad arte: il foglio piccolo della donna diventa lungo nelle mani dell’uomo e c’è l’estraneo che l’accarezza sulla mano, con una tecnica simile alla già studiata )handshake induction, che consiste nel tendere a qualcuno la mano destra, ma bloccargli il braccio e afferrare la sua mano con la sinistra. Su Youtube ci sono alcuni video esemplari.

Su Youtube questo video spiega la Handshake induction, di cui si è comunque parlato per anni come di una bufala:

«L’uomo — continua L. — mi parla con calma: “Questa donna ha vinto all’Enalotto, è stata mandata dalla signora per cui lavora dall’avvocato che sta in questa via. Puoi andarci tu. Se vai, ricordati, è importante, non devi mai dire la cifra che hai vinto”». L. ricorda le parole, ma anche la sensazione di voler andare via senza riuscirci: «“Non ho vinto nulla, io”. “Vieni, andiamo al bar”. “Devo andare al lavoro”. “E lei come fa, poverina, chi l’aiuta? Non conosce la strada, è in difficoltà, fai finta che non capisci niente e andrà bene”, mi dice l’uomo. A quel punto non ho davvero capito niente. Ti entrano nella testa e una parte di te si addormenta». I ricordi di L. — ci abbiamo messo oltre un’ora per rimetterli in fila — aiutano per la prima volta a vedere da vicino il metodo di quello che appare come un furto con destrezza. Si è ritrovata, senza sapere come, dentro un bar-tabacchi, dove le offrono un tè caldo: «“Signora, preghiamo”. E io prego. Poi mi dicono di aprire la borsa e lo faccio. Non ti mettono mai le mani dentro, ti dicono che cosa fare e lo fai, non ti senti in pericolo». Poteva esserci, chiediamo, del narcotico nel tè? «Forse, ma non mi sono addormentata, infatti poco dopo sono andata al lavoro, per le tre ore che avevo», risponde L., ancora agitata al pensiero di aver risposto alle strane domande dei due ladri: «“Non hai a casa i soldi per le medicine? Non hai duemila euro? Sei una persona fidata, quanti soldi hai addosso?”.
Io avevo duecento euro miei, più 50 euro che il giorno prima mi aveva dato la signora per cui lavoro, per comprare un dolce. Glieli mostro, loro non li toccano, mi fanno solo aprire la borsetta. “Prendili e mettili là”, dice l’uomo, indicando una busta bianca. “Mettiamo dentro anche questo”, dice, e mi dà il biglietto dell’Enalotto. “Questi anelli, li puoi mettere?”, dice, io me li sfilo ed eseguo. La busta l’hanno chiusa avanti a me e lui me l’ha infilata nella camicia, sul seno. “Non diciamo niente a nessuno, sei una persona di fiducia, quando finisci il lavoro, prendiamo questo che ti abbiamo fatto nascondere e andiamo da una signora alla Centrale”. Io me ne vado, camminando toccavo la busta, sentivo il duro dei gioielli e le carte, finalmente entro nella casa dove lavoro. Dopo un po’ decido di andare in bagno, per aprire la busta, ma è piena di lacci e nodi. Sono talmente tanti che penso: “Se li apro, non faccio in tempo a lavorare, la signora mi sgrida”, così non apro. Finisco il lavoro, torno dove ci eravamo visti con mille pensieri, non voglio andare con loro, ma come faccio? Mi viene da chiamare mia sorella e non riesco a parlare. Lei capisce che qualche cosa non va e mi dice: “Torna subito a casa, resta al telefono, parla, dimmi che è successo, ma non chiudere la telefonata”».

Alla fine, secondo il racconto, la storia si conclude con il “risveglio” della signora e ulteriori testimonianze di altre persone che hanno avuto a che fare con la coppia. Una storia che comunque sembra ancora oggi tratta da un film.

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