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La storia della donna respinta al confine che muore di parto

neXtQuotidiano 24/03/2018

L’hanno lasciata alla stazione di Bardonecchia,nella notte, nonostante il pancione di sei mesi e nonostante non riuscisse quasi a respirare per colpa di quel tumore conseguenza di una trasfusione sbagliata fatta in Nigeria

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Una donna di 31 anni, nigeriana, incinta e ammalata, era arrivata alla frontiera di Bardonecchia a inizio febbraio, quando le strade erano innevate. Secondo le associazioni che aiutano i migranti, gli uomini della gendarmeria francese l’hanno respinta, riportandola alla stazione di Bardonecchia. Ricoverata prima a Rivoli e poi al Sant’Anna, la donna si è aggravata il 15 marzo: è morta dopo il cesareo. Il bimbo pesava 700 grammi.

La storia della donna respinta al confine che muore di parto

L’hanno lasciata alla stazione di Bardonecchia,nella notte, nonostante il pancione di sei mesi e nonostante non riuscisse quasi a respirare per colpa di quel tumore conseguenza di una trasfusione sbagliata fatta in Nigeria. I primi ad accorgersi di lei sono stati i medici di Rainbow4Africa, guidati da Paolo Narcisi, che, da inizio dicembre, prestano soccorso ai migranti al confine. Beauty S. è stata portata subito a Rivoli, l’ospedale più grande della zona, ai piedi della Val di Susa. Poi, il trasferimento al Sant’Anna, presidio ginecologico di riferimento, dove i medici hanno provato a studiare una strategia.

bardonecchia confine francia

“Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l’umanità”, dice all’ANSA Narcisi. La nascita del bimbo, appena 700 grammi, è stata un miracolo dei medici del Sant’Anna ed è gara di solidarietà per aiutarlo. «Abbiamo cercato di portare la gravidanza il più in là possibile, compatibilmente con le condizioni della mamma», spiega a Repubblica Tullia Todros, direttrice del reparto di Ginecologia del Sant’Anna, dove la donna è morta a un mese dal ricovero, poco dopo il parto. E se avesse passato quel confine? «Difficile pensare che sarebbe sopravvissuta. Non saprei neanche dire se in Francia sarebbero riusciti a portare avanti questa gravidanza», dice la dottoressa.

Il bimbo chiamato Israel

Il padre ha chiamato il figlio Israel: «All’inizio ha avuto bisogno di assistenza nella respirazione, ma ora va meglio. Sta diventando più autonomo e siamo cautamente ottimisti», dice ancora Enrico Bertino, direttore del reparto di Terapia neonatale del Sant’Anna. Per Israel è già scattata una gara di solidarietà. Un sentimento che stride con l’indifferenza di chi controlla il confine. Dall’altra parte c’è una guida alpina francese, Benoit Ducos, che rischia cinque anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato una migrante incinta.

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