La storia dei rom pagati per traslocare dal campo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-08-07

Lo sgombero dei nomadi di Ponte Marconi all’epoca della giunta Veltroni avviene “a pagamento”. E con Alemanno…

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Nelle more delle dichiarazioni di Salvatore Buzzi ai pubblici ministeri spunta una storia interessante: quella dei capi rom pagati per traslocare dai campi. Sotto la lente c’è il campo nomadi di Castel Romano, che si trova nella riserva naturale di Decima Malafede, vicino alla tenuta di Castelporziano, per la cui gestione la cooperativa 29 giugno incassa la bellezza di 87mila euro al mese:

«Preciso — dice Buzzi— che la vicenda nasce nel 2005, con Walter Veltroni sindaco e viene gestita da Luca Odevaine (che di Veltroni era il vicecapo di gabinetto e detenuto dal dicembre 2014 nell’inchiesta Mafia Capitale, OES). Occorreva infatti spostare il campo nomadi originariamente vicino a Ponte Marconi». Lo sgombero è del settembre di quell’anno e arriva dopo la sollevazione di un quartiere (Eur-Marconi) martoriato da furti in appartamento, borseggi. I cinquecento nomadi ospiti sin lì degli 11mila metri quadri attrezzati del campo di vicolo Savini si adeguano al provvedimento senza fiatare. E c’è un motivo. Inconfessabile, certo. Ma c’è. Racconta Buzzi:«Meo e Carlo Kammis, rappresentanti delle tribù nomadi di Ponte Marconi, dissero che non avevano intenzione di trasferire la loro gente. E il motivo era che il campo di vicolo Savini era più vicino ai luoghi in cui volevano stare». Dove “lavoravano”.

ponte marconi
Racconta Carlo Bonini su Repubblica che comincia dunque una trattativa con il Comune:

«Che conduce Odevaine — ricorda Buzzi — e che Odevaine chiude con un accordo». I due capi tribù pretendono infatti un indennizzo per il mancato guadagno, “il lucro cessante” si direbbe in una causa civile, che comporterà la lontananza del nuovo campo di Castel Romano dalle strade e dagli appartamenti del quartiere Marconi. E la pretesa non solo viene ritenuta ricevibile, ma viene persino quantificata. «In forza dell’accordo chiuso da Odevaine — racconta Buzzi a verbale — i nomadi si sarebbero trasferiti in cambio del versamento di 15mila euro al mese a ciascuno dei due capì tribù, Meo e Carlo Kammis». Non basta. Odevaine è evidentemente consapevole di che razza di accordo ha chiuso e che, in qualche modo, i 30mila euro mensili che finiranno nelle tasche dei due capi bastone devono essere dissimulati. «Per questo — spiega Buzzi — il pagamento doveva arrivare ai due Kammis attraverso associazioni o cooperative che erano riconducibili a loro ma per lavori inesistenti». E per questo — aggiunge — viene coinvolta la “29 giugno”. «I 30 mila euro al mese ai due capi tribù venivano pagati dalle nostre cooperative ed erano giustificati da subappalti per lavori fittizi concessi ad associazioni a loro riconducibili».

Quindi i soldi pubblici che venivano dati a Buzzi finivano poi in tasca alle associazioni secondo un giro di denaro che non si interrompe con la giunta di Alemanno. Anzi, racconta Buzzi, con il nuovo sindaco la 29 giugno viene semplicemente bypassata e i soldi finiscono direttamente a loro.

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