La solita sceneggiata della scissione del PD

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-02-15

Un fantasma si aggira per Bettola: l’abbandono stra-annunciato e mai effettuato del PD da parte della minoranza. Che da anni fa le stesse minacce e mai le attua. E tutto ciò fa venire il sospetto che sia l’ennesima trattativa sui posti in parlamento in vista delle elezioni a muovere i “ribelli”

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La scissione del Partito Democratico è all’ordine del giorno, dice Miguel Gotor. È già avvenuta, rincara Pierluigi Bersani. Se ne sente l’odore non da oggi, sostiene David Ermini. Al 70% me ne vado, aggiunge Davide Zoggia. E l’osservatore esterno non riesce a capire se si tratti dell’ennesima buffonata o se stavolta si fa sul serio. Perché da quando Renzi è segretario ogni due mesi ricomincia la litania della scissione, ma puntualmente ogni due mesi tutto rientra senza che nessuno abbia capito i motivi né della lite né della ricomposizione. E questo cincischiare dopo aver avuto tutto il tempo per prendere decisioni fa venire il sospetto che sia l’ennesima trattativa sui posti in parlamento in vista delle elezioni a muovere i “ribelli”.

La scissione del PD che tremare il mondo fa

Perché Bersani, ad esempio, ha ragione quando segnala che andrebbe corretta la linea politica del segretario che fa perdere voti nelle fasce di popolazione a cui il Partito Democratico originariamente si rivolgeva. Ma l’ex segretario non spiega in alcun modo, se non con metafore discutibili, perché dopo essersi fatto mettere “le dita nell’occhio” (parole sue) da Renzi per anni soltanto oggi tutto questo sia diventato un problema. Dopo aver perso le primarie del Partito Democratico Renzi ha in ogni modo cercato di sabotare le iniziative della maggioranza (mitico, ad esempio, il suo no alla Finocchiaro come presidente della Repubblica a causa della scorta che le spingeva il carrello al supermercato) con il chiaro intento politico di prendersi una rivincita che alla fine si è preso sul campo. Allo stesso modo la “minoranza PD” si è mossa sulla stessa linea, arrivando a fare campagna elettorale contro la mitica Ditta al referendum. Ma quando si tratta di andare a cercare un’alternativa politica alla segreteria di Matteo Renzi, ecco che Michele Emiliano si candida in stretta autonomia, Enrico Rossi alza la mano e dice che c’è anche lui e Roberto Speranza prima viene incoronato in una splendida fotografia con gli altri due e poi finisce irrimediabilmente fottuto e sacrificato sull’altare del “prima di decidere potevate almeno farci una telefonata“.
roberto speranza michele emiliano-1
La segreteria del Partito Democratico è contendibile, ma chi dovrebbe contenderla non riesce a trovare un accordo nemmeno sull’uomo che dovrebbe sfidare Renzi. Eppure per cercare almeno di erodere il largo consenso che il segretario oggi possiede nella base bisognerebbe quantomeno proporre una piattaforma politica chiara e un candidato serio e riconoscibile che possa essere considerato alternativo a Renzi. Invece nulla di tutto ciò accade ma oggi si torna a parlare di scissione. Dimenticando che di solito chi queste cose vuole farle le fa, non le annuncia.

La solita sceneggiata democratica

Per questo viene il sospetto che anche stavolta non si stia litigando sull’ideale ma sulle poltrone. Un po’ perché anche Renzi ci si mette d’impegno facendo trapelare che Bersani potrebbe essere un ottimo sindaco di Piacenza. Un po’ perché queste minacce di scissione arrivano alla vigilia delle elezioni politiche, quelle in cui il segretario ha già minacciato che non ricandiderà i dissidenti. Se Renzi ha una gestione del partito padronale (sì, ce l’ha), chi gli si oppone dovrebbe almeno avere la coerenza di dare seguito alle sue parole, per una volta, con i fatti. E lasciare la barca che – a loro parere – affonda per affrontare una nuova sfida a sinistra, dove starebbero transitando quei “milioni di voti” che secondo Bersani Renzi ha perso e che dovrebbero essere linfa vitale per il nuovo soggetto democratico e di sinistra che tremare il mondo farà.

La scissione insomma non si annuncia, si fa. Anche perché almeno un leader credibile quel fronte ce l’ha. D’Alema, certo. Mica Bersani.
 
 

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