Fatti
La maggioranza di Renzi torna a rischio
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2016-07-20
L’addio del capogruppo NCD è al veleno: il segnale di un ritorno alla casa madre. Anche perché elettoralmente c’è poco da fare: Renzi non accoglierà i fuoriusciti nel centrosinistra. Ecco perché il governo è a rischio
«Ognuno fa i conti con la propria coscienza. Agli Studios di Roma Alfano diceva “alleanza con il Pd nel 2014 ed elezioni nel 2015”. Siamo giunti ormai al 2016». Così Renato Schifani in un’intervista al Corriere della Sera spiega i motivi del dissenso nei confronti del segretario del suo partito che l’hanno spinto a dare le dimissioni da capogruppo del Nuovo Centro Democratico e, non ne fa mistero nel colloquio con Gianluca Abate, a pensare di tornarsene in Forza Italia. Una defezione unica? Lui dice di non sentirsi Caronte, e quindi di non voler traghettare altri al di là del guado che divide maggioranza e opposizione. Ma rimane che i numeri che sorreggono la maggioranza del governo Renzi ora tornano a rischio.
La maggioranza di Renzi torna a rischio
Dal febbraio 2014 Ncd appoggia il governo guidato da Matteo Renzi e nell’esecutivo ora ha 3 ministri: Alfano, Lorenzin e Costa. Nel tempo, hanno lasciato il partito Barbara Saltamartini, Nunzia De Girolamo, Gaetano Quagliariello, Andrea Augello ed Eugenia Roccella. Il voto per le Amministrative ha aperto un dibattito nella maggioranza e scatenato i malumori di Ncd: alcuni esponenti criticano apertamente la linea filogovernativa. L’inchiesta «Labirinto» ha poi acuito le fibrillazioni nel partito: viene anche avanzata la proposta di un appoggio esterno al governo, ipotesi smentita dal capogruppo alla Camera Maurizio Lupi. Intanto Il Giornale pubblica la lettera di commiato da capogruppo dello stesso Schifani: un segnale impossibile da non cogliere.
Ecco perché anche Goffredo De Marchis su Repubblica parla di maggioranza a rischio:
Il ministro dell’Interno risponde con una nota in cui sostanzialmente dice che è meglio così, che chi non ci sta è bene che lasci il partito. Il rapporto si era già rotto quando Schifani aveva fatto visita ad Arcore al convalescente Berlusconi. Il segnale di un ritorno alla casa madre, hanno pensato in molti. «Ci siamo lasciati male con Angelino», ammette. Una telefonata nervosa. «Quando una coppia si separa non è mai piacevole». Alfano è sicuro che lo seguiranno solo in due (su un gruppo di 31): Esposito e Azzollini. Gli altri ribelli, come Formigoni e Sacconi, resteranno dentro. Già oggi il leader dell’Ncd riunirà i gruppi di Camera e Senato. Al posto di Schifani verrà eletta Laura Bianconi. Ma l’ala centrista del governo soffre. Con una certa malizia Gaetano Quagliariello, ex già da alcuni mesi, commenta: «Ncd è uguale a Mps, il Monte dei paschi: ancora in vita ma tecnicamente fallito. Non c’è spazio per il progetto di Alfano».
Ovvero, Matteo Renzi non accoglierà mai nel centrosinistra i fuoriusciti da Forza Italia. E non gli darà mai una nuova legge elettorale che consenta a una formazione centrista di coalizzarsi alle elezioni con il Pd. Alfano segue un’altra rotta. Non forzare il premier, confermare l’alleanza di governo fino al referendum votando Sì alle riforme e dopo chiedere un’intesa politica al Partito democratico. Nel frattempo dovrebbe nascere il nuovo partito lanciato dal ministro dell’Interno. «Come faccia a creare una nuova forza politica a un anno e mezzo dal voto per me è un mistero», dice Schifani.
Cosa farà Renzi
A guidare il gruppo ora sarà il vice Luigi Marino e Schifani garantisce che non voterà mai in dissenso, finchè resterà in Ap. Ma sono pesanti come pietre le parole che usa, in una lettera di 4 pagine ai colleghi senatori, per spiegare le ragioni delle sue dimissioni, per correttezza anticipate al leader di Ap. L’impegno a costruire un nuovo centrodestra nel solco del Ppe “è stato via via nel tempo disatteso”, dice. Peggio: “non è stato onorato”, sostenendo il governo Renzi “senza un minimo accordo preventivo di programma”, con la linea “fallimentare” di alleanze variabili alle amministrative, con la promessa di un “tagliando di governo” mille volte rinviato. Fino a rendere necessaria oggi “una scelta di coerenza” che Schifani ad Alfano aveva già annunciato nello scorso gennaio e che oggi affronta con l’orgoglio di consegnare un gruppo “in ottima salute”, mai complice di “imboscate” al governo, fino al sì compatto al ddl sugli enti locali. Ma oggi Schifani si slega le mani, giudica senza più “spazio temporale e politico” il progetto neocentrista di Alfano, a suo giudizio non chiaro nella proposta progettuale e nella collocazione identitaria. “Un mero tentativo di tenere in vita un gruppo parlamentare sotto l’egida di un futuro ambiguo, di una formazione politica tutta da costruire su iniziative ed idee che non provengono dal territorio, ma da stanze di palazzo”, è l’epitaffio di Schifani. Quanto al futuro, resta da capire se seguiranno Schifani i diversi esponenti altrettanto critici, da Formigoni a Sacconi ad Esposito. E su quale percorso (il No al referendum, le critiche all’Italicum, il cosiddetto ‘modello Milano’) i malpancisti costruiranno un nuovo cammino. Di certo Schifani, in una giornata come questa, trova il modo per ricordare di essere stato “costretto con dolore a lasciare Silvio Berlusconi”, di aver assistito “con disagio” negli anni alle dichiarazioni contro il Cavaliere di esponenti di partito e governo eletti sotto il simbolo di Forza Italia. E di aver “sempre mantenuto rapporti cordiali con i colleghi di Fi, con la barra ferma a centrodestra”. Per ora dunque Schifani resta in Ncd. “Poi si vedrà…”, dice lasciando immaginare che quel ‘poi’ non è così lontano.