Khaled Shalabi: il responsabile della morte di Giulio Regeni?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-04-06

Una lettera anonima accusa il direttore della polizia speciale di Giza. E rivela dettagli raccapriccianti di torture nei confronti del ricercatore friulano. Oltre a complicità che arrivano fino ad Al Sisi. Intanto si racconta che Khalid Shalabi potrebbe essere uno dei responsabili da sacrificare

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Una serie di email anonime inviate a Repubblica e un’indiscrezione della Stampa indicano un responsabile ben preciso per la morte di Giulio Regeni. Si tratta di Khaled Shalabi (o Shalaby), alto ufficiale della sicurezza nazionale incaricato del caso Regeni già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza.

Khaled Shalabi: il responsabile della morte di Giulio Regeni?

Carlo Bonini su Repubblica racconta che un anonimo ha contattato la redazione scrivendo da una mail con server di Yahoo in più lingue: inglese, arabo e persino italiano. E svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall’autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell’Istituto di medicina legale di Roma.

“L’ordine di sequestrare Giulio Regeni – scrive l’Anonimo – è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza”, il distretto in cui Giulio scompare il 25 gennaio. Lo stesso ufficiale con alle spalle una condanna per torture che, dopo il ritrovamento del cadavere, accrediterà prima la tesi dell’incidente stradale e quindi quella del delitto a sfondo omosessuale. “Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale”. E “fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore”.

L’anonimo racconta che Giulio, rinchiuso nella caserma di Giza, rifiuta di rispondere alle domande e chiede di essere assistito da un rappresentante dell’ambasciata italiana. E allora viene pestato, perché gli assalitori vogliono conoscere i suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani. Quindi, per ordine del ministro dell’interno Magdy Abdel Ghaffar viene trasferito a Nasr City ma continua a non voler parlare. A quel punto arriva Mohamed Sharawy che ottiene la possibilità di usare la tortura:

E così cominciano 48 ore di torture progressive”, durante le quali, per fortuna, Giulio comincia ad essere semi-incosciente. Viene “picchiato al volto”, quindi “bastonato sotto la pianta dei piedi”, “appeso a una porta” e “sottoposto a scariche elettriche in parti delicate”, “privato di acqua, cibo, sonno”, “lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi”. “Bastonature sotto i piedi”. Il dettaglio svelato dall’Anonimo era sin qui ignoto ed è confermato dalle evidenze dell’autopsia effettuata in Italia. Non è il solo.

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Una foto di Khaled Shalabi

Bonini racconta che il ministro dell’Interno decide di investire della questione “il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro”. Quindi coinvolge nella sua confessione anche il presidente egiziano, colui che nell’intervista rilasciata qualche giorno fa sempre a Repubblica prometteva la verità sul caso. Regeni viene colpito da una baionetta, i cui segni poi si troveranno nell’autopsia. Anche questo è un dettaglio importante. Arrivano anche “i segni di sigaretta su collo e orecchie”. È il terzo dettaglio, riscontrato dall’autopsia italiana, che l’Anonimo dimostra di conoscere pur essendo pubblicamente ignoto. Ed è quello che spiega il perché nella prima autopsia al Cairo il corpo di Giulio venga mutilato con l’asportazione dei padiglioni auricolari. Subito dopo il suo corpo viene trasferito in una cella frigorifera da dove verrà prelevato per sostenere la tesi dell’omicidio con rapina a sfondo omosessuale.

Khaled Shalabi: la versione della Stampa

Anche la Stampa oggi in un retroscena a firma di Francesca Paci annuncia che la delegazione di inquirenti attesa oggi a Roma dovrebbe portare non solo l’annunciato faldone di duemila pagine sul ricercatore friulano ma almeno un nome, l’indicazione di una responsabilità che stavolta non condurrebbe a improbabili gang criminali o strampalati fuori pista bensì ad apparati del regime stesso: «Una fonte al Cairo suggerisce che il nome da «sacrificare» potrebbe essere quello del generale Khaled Shalaby, l’alto ufficiale della sicurezza nazionale incaricato del caso Regeni già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza».

 Da una parte c’è il Mabahith Amn adDawla, altrimenti detto State Security, i famigerati servizi segreti del ministero degli Interni, di cui fa parte il generale Shalaby, detestati dagli attivisti che dopo la deposizione di Mubarak ne ottennero lo scioglimento salvo vederli rinascere sotto il nome di Al-Amn alWatani, Homeland Security. Dall’altra c’è il General Intelligence Directorate, alias il vero e proprio mukabarat, una sorta di Cia che si occupa di minacce terroristiche esterne anziché interne e che oggi è ai ferri corti con il regime per aver visto i suoi vertici sostituiti dagli uomini di Al Sisi provenienti dal terzo ramo degli 007 egiziani, quello miliare, l’Idarat al-Mukhabarat al-Harbiyya wa al-Istitla (Military Intelligence and Reconnaissance Administration). In questo scontro di poteri sul ciglio dell’abisso s’inserisce anche la vicenda Giulio Regeni. Racconta la nostra fonte che dopo settimane di tentennamenti nel governo si sarebbe fatta largo la consapevolezza di dover «sacrificare» qualcuno di concreto, un responsabile vero, realisticamente coinvolto nel caso Regeni. E al Cairo tutte le voci (comprese alcune vicine al regime) puntano in direzione del ministero dell’Interno.

Il sacrificio di Shalabi come responsabile? Sarebbe una pista credibile ma come abbiamo visto nella lettera dell’anonimo si chiama in causa tutto l’apparato politico e militare che governa l’Egitto, su fino al Generale Al-Sisi. Sacrificarne uno non può bastare. E l’Egitto dovrà adesso dimostrare che le complicità immaginate nella lettera dell’Anonimo (che sembra essere troppo informato sul caso, visto che conosce movimenti e ragionamenti delle forze di sicurezza e dimostra di considerarne anche la logica interna) siano appunto soltanto fantasie. Oppure sarà difficile per il regime sopravvivere.

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