Perché Salvini non va con la maglietta della Polizia davanti a Italpizza e Finiper?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-19

È facile e comodo andare in televisione e nelle piazze a fare comizi indossando le magliette della Polizia, perché è utile a veicolare l’idea che il ministro dell’Interno si stia occupando in prima persona della sicurezza degli italiani contro la temibile invasione dei migranti. Ma cosa succede quando i lavoratori vengono manganellati da Polizia e Carabinieri? Sia Salvini che Di Maio preferiscono stare zitti e non farsi vedere

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Ci sono proteste sindacali di cui il ministro del Lavoro e lo Sviluppo Economico non parla. La prima è quella dei lavoratori di Italpizza, a Modena. La seconda è quella dei facchini di Finiper a Soresina. Eppure quello che sta accadendo dovrebbe suscitare l’interesse di Luigi Di Maio, non solo in quanto ministro ma come politico che ha più volte promesso e giurato di voler difendere la dignità dei lavoratori.

Perché Luigi Di Maio non difende i lavoratori di Italpizza e Finiper?

Ma c’è un altro ministro che dovrebbe dare delle risposte. Quel ministro è il titolare del Viminale, Matteo Salvini. Entrambi i vicepremier dovrebbero spiegare quello che sta succedendo. A Modena i Cobas denunciano in un comunicato che «per aggirare lo sciopero Italpizza tenta di far entrare dei lavoratori esterni in sostituzione di quelli davanti ai cancelli, pratica proibita dalla legge italiana come pratica antisindacale: alcuni addetti aprono un cancello provvisorio sul retro dello stabilimento, mentre in uno stradello adiacente i lavoratori esterni aspettano che il padrone della cooperativa li venga a prendere». Di Maio in quanto ministro del Lavoro non ha nulla da dire? Per il ministro della dignità è perfettamente normale che su 600 dipendenti solo un’ottantina siano assunti direttamente. I restanti sono tutti precari che lavorano per alcune cooperative riconducibili alla proprietà.

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Salvini invece dovrebbe chiarire come mai da qualche mese è la Polizia a garantire la continuità produttiva dell’azienda. Come raccontava Giovanni Iozzoli qualche tempo fa su Carmilla un reparto della Celere assicura che sindacalisti e picchetti non turbino il regolare svolgimento delle attività lavorative. La proprietà decide con quali sindacati trattare il S.I. Cobas è stato escluso.

Risultato: un sindacalista dei Cobas ieri è stato preso per il collo da un agente. Un mese fa un altro sindacalista del S.I. Cobas di Bologna, Simone Carpeggiani,  era stato pestato da sei agenti. Eppure i lavoratori non chiedono chissà cosa: protestano contro la decisione di dare in appalto alle cooperative «lavoratori che erano inizialmente assunti direttamente, con contratto Alimentare, passando a contratto Logistica (facchinaggio) e infine, con un accordo firmato da Cgil-Cisl-Uil, a gennaio 2016 passano tutti al contratto Pulizie/Multiservizi (che per legge non potrebbe essere applicato a chi manipola alimenti», un contratto che comporta la compressione del 40% dei salari.

Il decreto sicurezza usato per reprimere le proteste dei lavoratori

A Soresina la musica è la stessa. Ed è la musica prodotta dalla manganellate, dalle cariche e dallo scoppio dei lacrimogeni. Lì Polizia e Carabinieri hanno caricato con violenza i 170 facchini licenziati da Finiper – la ditta proprietaria dei supermercati Iper – che stavano protestando assieme alle loro famiglie. La presenza di donne e bambini non ha fermato la carica delle forze dell’ordine. Eppure fino a quel momento la manifestazione, seppur tesa, era stata pacifica.

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C’è chi punta il dito contro i due decreti voluti da Matteo Salvini e approvati dal Governo: il decreto sicurezza e il decreto sicurezza bis. I provvedimenti contengono norme che inaspriscono le pene nei confronti di chi protesta. Dai due ai dodici anni di carcere per blocchi stradali (ad esempio per un picchetto ai cancelli) e ferroviari, quattro anni per chi fa esplodere petardi e accende fumogeni durante i cortei, inasprimento delle pene e delle sanzioni per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (senza dimenticare che gli agenti ti possono manganellare senza troppi complimenti). Tutte disposizioni che si traducono in una criminalizzazione e repressione violenta delle lotte sindacali e sociali. C’è chi ritiene che il nuovo decreto Salvini serva solo per impedire gli sbarchi dei migranti, punire le Ong e chiudere i porti. Ma in realtà è uno strumento di repressione che limita la libertà di tutti i cittadini e lavoratori italiani. Forse è per questo che il ministro dell’Interno, che nelle ultime settimane ha iniziato  a parlare di lavoro, lavoro, lavoro non si è fatto vedere ai cancelli delle aziende presidiate dalla Celere. Ed è un peccato, sarebbe stata un’occasione fantastica per indossare la maglietta della Polizia. E forse così i lavoratori avrebbero capito da che parte stanno quelli che fanno parte del governo dell’Avvocato del Popolo.

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