Il vescovo che sostiene che la legge sulla privacy impedisce di denunciare i pedofili

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-03-01

Domenico Sigalini lo dice a Radio Anch’io su Rai Radio 1. Ma è una bufala

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Denunciare gli abusi non è facile per la legge italiana. Lo ha detto mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, tornando su una polemica che tempo fa lo ha investito, perché aveva detto di ritenere di non denunciare gli abusi commessi da preti su minori. “Diteci che cosa dobbiamo fare di preciso e io non ho problemi – ha detto intervenendo a Radio Anch’Io su Rai Radio 1 -. Non c’entra il Vaticano e neanche i Patti Lateranensi. È il nostro codice a prevedere che se c’è un minore di mezzo è il papà che deve denunciare perché se io denuncio violo la privacy della sua famiglia e metto il figlio in piazza. Diteci le competenze precise, qui c’entra la legge italiana. Io posso fare un processo canonico e poi ridurlo allo stato laicale” mentre sul resto occorre verificare i limiti della legge italiana.

Il vescovo che sostiene che la legge sulla privacy impedisce di denunciare i pedofili

In realtà Domenico Sigalini dice una falsità. Essendo un illecito penale, la pedofilia può essere denunciata all’autorità giudiziaria da chiunque. L’articolo 333 del Codice di Procedura Penale recita: «Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria». Antonello Soro, presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, ha inoltre smentito Sigalini: «Denunciare, doverosamente all’autorità giudiziaria, gli abusi subiti da minori non vuol dire affatto mettere i bambini ‘in piazza’, ma tutelarne i diritti fondamentali. Ovviamente il Codice privacy non prevede alcun divieto o limitazione in tal senso – aggiunge Soro – accorda ai minori una tutela rafforzata ma da chi ne violi la dignità e non certo da chi, come l’autorità giudiziaria, è tenuta a proteggerli”. “Su questi temi occorre essere precisi per non ingenerare false convinzioni”, conclude il Garante della privacy.

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