Il vero successo dello Spallanzani: i primi ricercatori a tempo determinato a isolare il Coronavirus

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-02-03

Al di là dello sterile dibattito su chi abbia isolato o sequenziato per primo il coronavirus 2019-nCoV c’è un dato del quale essere orgogliosi e preoccupati allo stesso tempo. Quelli dello Spallanzani ci sono riusciti nonostante lo Stato italiano dia solo le briciole alla ricerca scientifica

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Grande entusiasmo per il successo scientifico dell’equipe medica dello Spallanzani di Roma che ha isolato il coronavirus 2019-nCoV. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato con orgoglio che l’Italia è stato «uno dei primi paesi in Europa» a farlo. Non il primo al mondo, perché gli scienziati cinesi hanno già pubblicato l’intero genoma del nuovo coronavirus il 9 gennaio, e altrettanto è stato fatto negli Stati Uniti. Per un soffio l’Institut Pasteur di Parigi ha “battuto” lo Spallanzani visto che ha sequenziato il genoma del coronavirus il 29 gennaio (anche in virtù del fatto che proprio in Francia si sono verificati i primi casi di coronavirus “importato” in Europa).

Chi ha isolato “per primo” il coronavirus?

Questo non significa che non sia importante, come spiega una nota dell’Istituto Superiore di Sanità: «l’isolamento virale, effettuato anche in Italia dallo Spallanzani permette di sequenziare il virus e confrontarlo con i ceppi già isolati anche in Cina e al di fuori della Cina in Paesi come Francia e Australia per valutare eventuali mutazioni», più in generale l’isolamento del virus «può aiutare a mettere a punto i metodi diagnostici, testare l’efficacia di molecole antivirali conosciute e identificare e potenziare eventuali punti deboli del virus».

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Essere riusciti ad isolare un campione del coronavirus è importante perché consente di studiare meglio e più a fondo il nuovo virus e lavorare ad una eventuale cura o ad un vaccino su di una cultura aiuta ad esempio a capire il tasso di mutazione del virus oppure a velocizzare (in termini relativi) la ricerca per la produzione di un farmaco. Il tutto è avvenuto, ricorda una nota dello Spallanzani, «a meno di 48 ore dalla diagnosi di positività per i primi due pazienti in Italia»

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Si tratta ad ogni modo di un successo indiscutibile per la ricerca scientifica e per il Servizio Sanitario Nazionale (lo Spallanzani è pubblico). Anche perché al di là dell’enfasi giornalistica e di quella dei politici (che in realtà sono stati assai più cauti) non esiste una “gara” tra istituti scientifici e di ricerca anzi le sequenze del genoma del coronavirus vengono condivise all’interno della comunità scientifica in modo tale da consentire un più rapido sviluppo della ricerca.

La ricercatrice precaria che ora tutti vogliono stabilizzare e le briciole per la ricerca scientifica

Ci sono per la verità un paio di ragioni per le quali essere al tempo stesso orgogliosi del risultato dello Spallanzani e indignati. Perché delle tre ricercatrici (Concetta Castilletti, Francesca Colavita e Maria Rosaria Capobianchi), che hanno isolato il coronavirus una è una precaria. Fracesca Colavita, 31 anni da Campobasso, da sei anni lavora allo Spallanzani inizialmente con un co.co.co. e ora con un contratto annuale da 1.500 euro al mese. Prima del coronavirus aveva lavorato su Ebola, ma solo oggi i politici si sono accorti del caso e hanno promesso di stabilizzarla.

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Così come solo oggi ci si ricorda che la ricerca scientifica è sottofinanziata. Il Segretario del PD e Presidente del Lazio Nicola Zingaretti ha scritto su Facebook: «dopo l’isolamento del Coronavirus allo Spallanzani, ecco un buon punto concreto per il confronto nella maggioranza. Rilanciamo la nostra proposta del Piano per l’Italia: l’aumento dei fondi per la ricerca e l’assunzione di 10.000 ricercatori». Inutile ricordare come la maggioranza e il Governo di cui fa parte il PD abbiano appena licenziato una legge di bilancio dove di quell’aumento di fondi non c’è traccia.

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Prendiamo ad esempio lo Spallanzani, un’eccellenza italiana della ricerca dove si trova uno dei due laboratori italiani di livello di biosicurezza 4, il massimo livello di sicurezza per “svolgere attività con materiali infetti o esperimenti microbiologici che presentano, o sono sospetti presentare, un alto rischio sia per chi lavora in laboratorio, sia per la comunità”. L’Istituto, scrive oggi Repubblica, dallo Stato riceve un finanziamento di appena 3,5 milioni di euro l’anno. Soldi che dovrebbero servire a mantenere in efficienza le macchine e i laboratori e a pagare gli stipendi del personale, circa settecento dipendenti dei quali 400 medici, infermieri e sanitari.  Ma non bastano, e per fortuna che ci sono i bandi e i finanziamenti europei a colmare la lacuna. In questo senso forse parlare di “successo italiano” non aiuta molto a far capire quanto poco l’Italia (intesa come Stato) ci metta negli istituti di ricerca.

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Lo Spallanzani non è l’unica Cenerentola visto che i 51 IRCCS  (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) pubblici e privati, vale a dire i centri di eccellenza per la ricerca medico-scientifica, si devono spartire una torta di appena 159 milioni di euro l’anno. Se volete fare un confronto il già citato Institut Pasteur ha da solo un bilancio di circa 289 milioni di euro l’anno. Non sono tutti soldi pubblici, lo Stato Francese contribuisce direttamente con 58,9 milioni di euro l’anno ai quali vanno aggiunti altri 54 milioni di euro di ulteriori finanziamenti pubblici (per un totale di 113 milioni di euro). Circa il 39% del bilancio dell’istituto è da finanziamenti pubblici, il resto sono donazioni, sponsor, vendita di brevetti e servizi. Questa è la vera “gara” sulla quale l’Italia può e deve competere.

Leggi anche: Francesca Colavita e Concetta Castilletti: le ricercatrici che hanno isolato il Coronavirus

 

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