Il tradizionale boicottaggio delle prove Invalsi del 12 maggio

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-05-10

Studenti e insegnanti si accingono – come ogni anno – a boicottare i test di valutazione dell’Invalsi, le buone ragioni per farlo però sono sempre meno. Vediamo quali

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Tornano anche quest’anno le prove Invalsi e tornano, puntuali come la campanella di fine giornata, le polemiche di studenti e docenti che si oppongono a questo sistema di valutazione della didattica. Da un lato c’è il MIUR che organizza per il 12 maggio la grande giornata della somministrazione dei test Invalsi, dall’altra parte studenti e docenti che rifiutano di essere “schedati” e consegnano le prove in bianco.

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Due esercizi della prova Invalsi di matematica per le scuole secondarie di secondo grado dell’anno scorso

Cosa sono le prove Invalsi

Le prove Invalsi (ovvero i test preparati dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) del 12 maggio coinvolgeranno gli studenti delle classi seconde degli istituti superiori. Prima di loro (il 4 e il 5 maggio) sono stati “testati” gli studenti delle classi seconde e quinte della scuola primaria mentre alla fine dell’anno scolastico verranno valutati gli studenti della classe terza della scuola secondaria di primo grado (ovvero le scuole medie). I test invalsi sono prove standardizzate per valutare il livello di apprendimento degli alunni, la prova del 12 maggio è suddivisa – come negli anni scorsi – in tre parti: la prova di italiano (si tratta di un esercizio di comprensione del testo), quella di matematica (una trentina di domande di algebra, geometria, studio di funzioni etc) e il questionario studente che serve sostanzialmente a creare un profilo delle attività dell’alunno. Lo scopo dei test è quello di fornire al Ministero le informazioni necessarie per compiere una valutazione del livello dell’istruzione nazionale e dell’andamento dei diversi istituti scolastici. I test infatti mirano a verificare il raggiungimento degli obiettivi curricolari ministeriali. Quello per cui invece le prove Invalsi non vengono usate è la valutazione del lavoro dei docenti ovvero per assegnare dei “premi di produzione” oppure banalmente per premiare “il merito” dei singoli insegnanti. Come tutti gli strumenti di valutazione anche le prove Invalsi possono e devono essere migliorate ma dal punto di vista generale non sono molto diverse dai compiti in classe, eccezion fatta che la valutazione dei risultati contribuisce alla creazione di una “classifica” nazionale. Lo scopo delle prove è infatti quello di fornire un termine di paragone comune a tutti gli istituti scolastici. Se ritenete che sia una questione marginale è sufficiente pensare a quello che succede ogni anno al momento delle prove di ammissione all’Università, specialmente in quelle facoltà dove il voto degli Esami di Stato (che comprende anche la media scolastica degli ultimi tre anni) contribuisce in maniera non marginale al punteggio finale. In quelle occasioni ci si chiede spesso se un sette assegnato in un liceo di Milano vale quanto un sette di un istituto dello stesso ordine e grado di Venezia o di Bari.
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Cosa contestano gli studenti

Secondo gli studenti invece le prove Invalsi non hanno niente a che fare con la valutazione del livello generale di apprendimento degli alunni ma mirano invece a renderli “dei numeri” quando non a “schedare alunni e insegnanti”. Il livello delle argomentazioni è di questo tipo:

Ma un test unico per tutte le seconde del Paese può rispecchiare il percorso degli studenti?
La logica del “merito” delle scuole migliori non è escludente?
Perchè le risposte sono chiuse se a scuola ci insegnano a riflettere e interpretare?

Ed è evidente che non si vuole capire che – pur con gli evidenti limiti del caso – il fine di una prova standardizzata è quello di rilevare il livello generale dell’apparato scolastico italiano. Per quanto riguarda invece il fatto che si tratti di risposte chiuse (i cosiddetti quiz) anche qui la necessità è quella di avere una valutazione quanto più uniforme e oggettiva con risultati comparabili tra loro. Già oggi nelle scuole vengono adottate griglie di valutazione con punteggi specifici (stabiliti dai docenti dell’istituto) per i compiti in classe. I test Invalsi semplicemente adottano una griglia di valutazione a livello nazionale. La questione della schedatura degli alunni invece è più complessa, perché è vero che i test sono anonimi ma è anche vero che ad ogni alunno è assegnata un’etichetta adesiva con un codice a barre sul quale è riportato anche il nome dello studente (che però non viene rivelato in fase di trasmissione dei risultati). Chi contesta le prove Invalsi ritiene che non ci sia necessità di indicare il nome dell’alunno e che – anche se i dati relativi a chi ha compilato il test rimarranno riservati nell’archivio dell’Istituto scolastico – si può parlare di una violazione della privacy. È bene ricordare però che gli studenti sono già schedati, tutte le prove, i registri e i verbali delle discussioni tra docenti durante gli scrutini riportano per filo e per segno le valutazioni sul singolo alunno, valutazioni che analizzano molto più a fondo i “destini personali” degli studenti rispetto a quanto potrebbero fare i dati raccolti con i test Invalsi e che vengono conservate all’interno della scuola. È vero, come sostengono gli studenti, che gli alunni non sono solo dei numeri ma è strano che gli studenti si rendano conto solo al momento delle prove Invalsi che la loro carriera scolastica è strettamente legata ai numeri e alle votazioni conseguite nel corso degli anni. Se sono i numeri il problema allora lo sono sempre, durante le interrogazioni, i compiti in classe, gli esami di Stato, le prove d’accesso all’Università e tutta la carriera universitaria. Non c’è nessun dubbio che uno studente sia molto di più che il 4 o il 9 in pagella, ma questo non è un problema relativo unicamente alle prove Invalsi. Una cosa è vera, la scuola italiana per come è concepita non è “preparata” per i test Invalsi che rischiano quindi di restituire un’immagine falsata dello stato della didattica (ma altrettanto lo fa la tendenza di alcuni istituti di “alzare” la media degli studenti per avere più centini alla maturità).

I docenti che rifiutano di somministrare i test

Se gli studenti si oppongono al test consegnandolo in bianco, non presentandosi in classe o omettendo di mettere l’etichetta adesiva anche gli insegnanti contestano il valore delle prove Invalsi. Il timore è quello che possano essere utilizzate in maniera scorretta per valutare il “rendimento” di un docente. Ci sono anche docenti che – un po’ come succede in America – preparano i propri alunni alle prove Invalsi, una questione particolarmente sentita laddove i test Invalsi fanno parte degli esami finali (alle medie le prove Invalsi hanno un peso nella composizione del giudizio finale dell’esame di terza media). Ci sono invece insegnanti che si rifiutano di allenare gli alunni a superare le domande delle prove, e che per questo vengono sanzionati e sospesi. È successo di recente in Sardegna dove tre insegnanti sono stati sospesi dal preside per essersi rifiutati di insegnare ai propri studenti come “passare” il test. Una pratica questa che viene scoraggiata dallo stesso Invalsi:

L’Istituto nazionale di valutazione rileva e misura gli apprendimenti con riferimento ai traguardi e agli obiettivi previsti dalle Indicazioni, promuovendo, altresì, una cultura della valutazione che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all’esclusivo superamento delle prove

Secondo i COBAS si tratterebbe di un abuso di potere da parte della Dirigente scolastica:

appare ovvio persino a noi, che pure siamo contrari all’Invalsi, che non si può preparare gli studenti ai quiz: sarebbe come se nel famosissimo “Lascia e Raddoppia” del secolo scorso, Mike Bongiorno avesse sottoposto preventivamente ai concorrenti del programma televisivo i suoi quiz e li avesse “addestrati” al loro superamento. Insomma, la Giannasi non solo fa un uso sconsiderato dei propri poteri nei confronti delle tre docenti ma si rivela più realista del re, confliggendo addirittura con l’Invalsi, il cui Direttore dovrebbe sconfessare non solo il suo tentativo di “addestramento” (che annullerebbe la stessa “imparzialità” dei quiz) ma dire esplicitamente come queste pratiche, diffuse in tante scuole, vadano annullate immediatamente e per sempre. Peraltro, Giannasi è “recidiva” perché qualche anno fa era stata condannata dal TAR della Sardegna per aver violato le prerogative del Collegio dei Docenti (Circolo Didattico “Furreddu” di Nuoro), rifiutandosi di inserire all’Odg per la discussione in Collegio l’argomento prove Invalsi. Dopo la sentenza del TAR il Collegio deliberò a stragrande maggioranza la propria contrarietà ai quiz ed alcune docenti decisero di non somministrarli ai loro alunni.

In attesa di sapere come finirà la vicenda dei tre docenti sardi sospesi i COBAS hanno indetto uno sciopero della scuola per il 12 maggio, al fine di boicottare le prove Invalsi. A quanto pare nel mondo della scuola c’è un problema di comunicazione tra corpo docente e Ministero, parafrasando Dante: Invalsi così colà, dove si puote; ciò che si vuole, e più non dimandare.

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