Il prete condannato per prostituzione minorile che si salva con la prescrizione

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-02-04

Don Paolo Alberto Lesmo era stato condannato a 1 anno e 10 mesi per venti atti sessuali di prostituzione minorile con un minorenne tossicodipendente pagato 150/250 euro a volta. Ma un motivo del ricorso, accolto in Cassazione, ha determinato la prescrizione

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Don Paolo Alberto Lesmo era stato condannato a 1 anno e 10 mesi per venti atti sessuali di prostituzione minorile con un minorenne tossicodipendente pagato 150/250 euro a volta. Ma un motivo del ricorso, accolto in Cassazione, ha determinato la prescrizione. La storia la racconta oggi Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:

Nel 2013 innesca le indagini del pm Giovanni Polizzi la psicologa che raccoglie le confidenze di un 16enne dopo che questi ha tentato il suicidio. Tra le pieghe del suo vissuto di minorenne disadattato e cocainomane, emerge così la storia delle chat online con un tal Alberto, che il minore associa agli atti sessuali a pagamento con il 48enne parroco (e insegnante a scuola del fratello minore del ragazzino) don Paolo Alberto Lesmo.

Il sacerdote propugna l’inattendibilità calunnatoria del problematico ragazzo, ma gli elementi raccolti dal pm (che chiede 3 anni e 4 mesi) convincono nel 2016 il gup Gennaro Mastrangelo a condannarlo in abbreviato a 1 anno, 10 mesi e 20 giorni per «prostituzione minorile», senza attenuanti generiche e senza sospensione condizionale della pena. Verdetto confermato dall’Appello. E nel 2019 dalla Cassazione su due (responsabilità e attenuanti) dei tre motivi di ricorso del difensore Filippo Andreussi: il terzo è invece accolto dalla Suprema corte, che boccia «illogica» la motivazione del diniego della sospensione condizionale della pena (per «mancata resipiscenza») a fronte del fatto che il prete fosse stato sospeso dal ministero e spostato in una comunità di sostegno psicologico.

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E qui scatta il colpo di biliardo procedurale: la fondatezza del terzo motivo di ricorso fa sì che si formi «un valido rapporto di impugnazione» al momento della sua presentazione, «e quindi consente di rilevare» adesso «la prescrizione del reato» (6 anni più un quarto: 7 anni e mezzo dall’ultimo atto sessuale l’1 gennaio 2011) «maturata» l’1 luglio 2018 «successivamente alla impugnata sentenza» d’Appello del 20 giugno 2018.

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