Il Movimento 5 Stelle si spacca sul nome di Draghi. La scissione ora è possibile

di Giorgio Saracino

Pubblicato il 2021-02-03

Vito Crimi ha già detto “no” a Draghi. Non si è ancora espresso l'(ex) leader Luigi Di Maio.

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Dietro la compattezza di facciata, nel Movimento 5 Stelle regna il caos. Il sostegno a un governo formato da Mario Draghi potrebbe essere il colpo di grazia per i pentastellati, che – alla ricerca della loro anima – hanno già perso il 54 per cento dei loro elettori dalle ultime Europee. Ieri sera il Presidente della Repubblica  Sergio Mattarella si è appellato alla responsabilità di tutte le forze del Parlamento, affinché non ostacolino la formazione di un governo di “alti profili”, guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea. Eppure dopo solo un paio d’ore è arrivata la sentenza di Vito Crimi, capo politico del Movimento: “L’M5s è per un governo politico, non voterà la fiducia a Draghi”. Lo stesso aveva detto poco prima – parlando per sé- l’ex ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli, che sui social aveva scritto: “Non ci vengano a chiedere di votare Mario Draghi”, augurandosi che questa fosse la linea di tutto il Movimento. Che, ricordiamo, è il partito più rappresentato in Parlamento. Tolti loro, contando anche le altre forze contrarie a un governo Draghi, la maggioranza rischia non esserci. E tutto questo sfocerebbe in un grave sgarbo istituzionale, visto l’appello – che diventerebbe inascoltato- del Capo dello Stato.

Ma all’interno del Movimento non sono tutti d’accordo, e per questo oggi alle 15 i deputati pentastellati si incontreranno in assemblea congiunta. Quello che sorprende è il silenzio dell’ex capo politico e due volte ministro con Conte, Luigi Di Maio. A dispetto dei suoi colleghi, lui ancora non ha parlato. Lui che solitamente non conta fino a 100 prima di esprimersi, se convinto della bontà di ciò che dice. Ma su questo ancora nulla, e c’è chi sostiene che sarebbe pronto ad accogliere l’appello del Presidente della Repubblica. Ovviamente questo sancirebbe la rottura definitiva con l’ala più conservatrice dei grillini. Tanto per intenderci: mentre Sergio Mattarella faceva il nome di Draghi, Alessandro di Battista -che non è in Parlamento ma vanta ancora un peso importante nel partito- postava sui social un suo articolo scritto l’estate scorsa, in cui definiva l’ex presidente della Banca centrale Europea “l’apostolo delle élite”. Che il Movimento si è sempre vantato di contrastare.

Ma le crepe interne non sono dovute solo a questo. C’è chi recrimina a Vito Crimi di non aver gestito bene le trattative con Italia Viva, e di aver posto dei veti su delle teste che sarebbero potute anche cadere in nome della causa. Parliamo soprattutto del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e – ad esempio – il commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri. Il no secco di Viti Crimi non è stato quindi condiviso da tutti. E soprattutto da chi crede ancora che il dialogo non sia del tutto terminato, e che ci siano speranze per parlare ancora di un governo politico, azzerando tutto e ripartendo. Speranze. Quelle che invece non ha più l’avvocato ed (ex) presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

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