Il lungo addio di Conte, tra i rimpianti e la tentazione di un nuovo partito

di Giorgio Saracino

Pubblicato il 2021-02-03

“Forse ho sbagliato a dimettermi, ma sto sereno”. Il premier continua a mantenere il silenzio pubblicamente

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La domanda che in molti si stanno ponendo è la seguente: che fine farà ora il presidente Conte? Di professione avvocato, è professore universitario a Firenze, dove -ha sempre detto- che tornerà. E lo farà dopo aver chiuso definitivamente la sua parentesi da Primo ministro, carica che gli è piombata addosso nel 2018, quando -già a sorpresa nell’eventuale squadra di governo del Movimento 5 Stelle- è poi arrivato a Palazzo Chigi. Prima con la Lega, poi con i democratici. Mossa che per qualcuno ha significato il cambio di casacca con l’unico obiettivo il rimanere ancorato alla “poltrona” (termine che sarebbe meglio cancellare per tornare a chiamarli per quello che sono: incarichi); per altri invece ha significato la capacità di essere super partes, così tanto maturo da non piegarsi agli (a volte) inutili e sterili battibecchi della politica. Soprattutto durante una pandemia, che mai Giuseppe Conte avrebbe pensato da vivere in qualità di premier.

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Fatto sta, che ha sempre pagato la non provenienza da una fazione politica, perché questo l’ha fatto diventare “ostaggio” delle decisioni altrui. Ieri Salvini che con un mojito in mano e senza maglietta chiede i pieni poteri per formare un governo, oggi l’altro Matteo, che invocando i sani princìpi della democrazia sfila la sua rappresentanza dall’esecutivo e manda tutto in rotoli proprio quando la terza ondata del virus si avvicina e i vaccini si allontanano, perché: “Una pandemia non può frenare la democrazia”. E Giuseppe Conte, che in questi mesi tutti hanno sentito già vicino anche per il solo fatto di essere entrato nel case degli italiani per aggiornare sul virus, è sempre stato lì a guardare, senza pronunciare mai una parola fuori posto, da gentiluomo. Che quando ha visto di avere numeri traballanti al Senato ha deciso di raggiungere il Quirinale e di rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, perché -ha detto nei palazzi della politica- “ho una mia dignità”.

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Rumor dicono però che ieri – avendo percepito che le cose per lui stessero precipitando – abbia sussurrato tra sé e sé un “forse non mi sarei dovuto dimettere, magari le cose sarebbero andate diversamente”. Per poi rassicurare però i suoi più fedeli, a cui non perdendo l’ironia dice: “Per citare il poeta: sto sereno”, ricordando come il senatore di Rignano ai tempi abbia sfrattato Enrico Letta. E se a Montecitorio e a Palazzo Madama c’è chi festeggia per l’uscita di Giuseppe Conte da Palazzo Chigi, lo stesso non si può dire dei cittadini. Che in molti si sono legati al premier avvocato. Gli stessi molti che oggi sperano che tiri su una lista, con cui presentarsi alle prossime elezioni (siano vicine o lontane). Che nei sondaggi è data già a percentuali molto elevate. Perché al di là delle simpatie politiche, Giuseppe Conte piace. E piace proprio perché è stato un presidente gentiluomo.

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