Il caldo ferma il Coronavirus?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-12

Quello che possiamo dire, ma vale per tutti i virus a trasmissione aerea (come per l’influenza), è che gli spazi chiusi maggiormente affollati in inverno facilitano il contagio tra persone e che le vie aeree (specialmente nasali) col freddo sono solitamente più vulnerabili al passaggio dei virus

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Sarà il caldo a fermare il Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19? «Non esistono evidenze scientifiche che esporsi al sole o vivere in Paesi a clima caldo prevenga l’infezione dal nuovo coronavirus. I casi di Covid-19 sono stati registrati anche in Paesi con clima caldo», scrive il ministero della Salute sul suo sito. Il Corriere della Sera però oggi in un articolo a firma di Silvia Turin passa in rassegna le ricerche scientifiche sull’argomento:

Gli studi che convergono sull’ipotesi che il virus SARS-CoV-2 preferisca un clima fresco e asciutto rispetto a uno caldo e umido, sono molti, ma prima di tutto tali ricerche perlopiù non sono ancora pubblicati su riviste scientifiche perché mancano di revisione «tra pari», in secondo luogo si tratta di «studi osservazionali». Osservare una correlazione tra clima e numero di casi confermati non basta per dire che i due fattori sono l’uno la causa dell’altro, perché le associazioni potrebbero derivare da variabili di altro tipo.

Inoltre, nel determinare l’andamento dell’epidemia contano anche le risposte dei governi e l’aderenza alle misure decise da parte della popolazione. Per spiegare la minore prevalenza di casi in Africa si è pensato non solo al clima, ma anche alla mancanza di test diagnostici da sottoporre alla popolazione e per capire come mai gli Stati Uniti abbiano così tanti infetti si può pensare alla densità di popolazione ma anche alle rotte del contagio, visto che pare che il genoma del virus indichi una provenienza europea dei casi zero.

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La ricerca dell’Università di MIlano su caldo e Coronavirus (Corriere della Sera, 12 aprile 2020)

Le ricerche, come l’analisi del 19 marzo sui dati raccolti dalla Johns Hopkins University effettuata dal MIT di Boston, evidenziano come il numero massimo di casi da coronavirus si è verificato in regioni con temperature comprese tra 3 e 13° C. Al contrario, Paesi con temperature medie superiori a 18°C hanno visto meno del 5 per cento dei casi totali:

Nessuno di questi articoli, lo ricordiamo, ha ricevuto una revisione scientifica cosiddetta «da pari», da parte, cioè, di altri scienziati che sottopongano i risultati a controllo, e gli studiosi concordano sul fatto che, anche se possiamo aspettarci modesti ribassi nella contagiosità di SARSCoV-2 in condizioni climatiche più calde e umide, non è ragionevole aspettarsi che questi ribassi da soli rallentino la trasmissione abbastanza da abbassare la curva.

Non sappiamo nemmeno quale sia eventualmente il fattore ambientale decisivo: la temperatura, l’umidità o entrambe. Quello che possiamo dire, ma vale per tutti i virus a trasmissione aerea (come per l’influenza), è che gli spazi chiusi maggiormente affollati in inverno facilitano il contagio tra persone e che le vie aeree (specialmente nasali) col freddo sono solitamente più vulnerabili al passaggio dei virus.

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