“I nostri tempi”: con i Dellarabbia la musica torna a schierarsi per i più deboli | VIDEO

di Fabrizio Delprete

Pubblicato il 2021-12-22

In esclusiva su “Next” Fabrizio Delprete racconta l’ultimo lavoro della band laziale che racconta il dramma dei migranti attraverso immagini inedite delle cariche della polizia a Calais, nel 2017

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C’era un tempo, specialmente per noi cresciuti negli anni ’90, in cui la musica non era solo musica. Era rabbia, era impegno, era sangue che scorre, era denuncia sociale. Era il groove che ti spacca i timpani a palla e ti apre il cervello, facendoti vedere quello che magari prima non vedevi. O strappandoti le viscere, vedendolo e sentendolo meglio.

Schierati. Si era schierati, sulla linea immaginaria di frontiera, ad urlare strofe che disegnavano il mondo che avremmo voluto e per cui avremmo lottato.

Acqua è passata, incessante, sotto i ponti, da allora. Il mondo è cambiato un miliardo di volte, dal tonfo delle Torri Gemelle e dei manganelli di Genova fino al web, a Londra, Madrid, Parigi e il Bataclan fino all’iperconnesso onanismo da ombelico del mondo dei social.

Acqua e sangue, sangue e acqua sotto quei ponti. Una sola cosa, in trent’anni volati, non è mai cambiata. Ma è peggiorata.

Gli ultimi, sono rimasti ultimi. Retrocessi a ultimissimi, con il ghigno indotto ai penultimi che sgomitano e mordono per non finire schiacciati sul bordo dell’ultimo gradino della disumana scala asociale.

Gli ultimi, messi con una pedata sempre un centimetro più dietro.

Senza forma, perché di forme – in questi trent’anni – ne hanno avute infinite.

Dai civili, dai bambini, imbiancati dallo squarcio di una bomba “intelligente” fino alle manine che si immergono silenti per sempre nell’olocausto del mediterraneo fino ad oggi, alle centinaia di migliaia di anime perse che vagano incarcerate nei fili spinati dell’indifferenza europea anche lascia uomini e bambini a morire al freddo e gelo – come scarti organici di società – ai confini della nostra presunta civiltà.

Li vedi, spenti come spiriti del Natale svuotato e stuprato, vagare scalzi in cerca solo di un boccone di speranza per riscaldare il loro futuro. Li vedi, walking dead disperati, disegnare col sangue i confini dell’epifania della nostra disumana indifferenza.

Li vedi, li vediamo, se solo volessimo farlo.

E invece, immersi nella nostra immeritata opulenza (ah, l’unica fortuna di esser nati dalla parte ancora giusta del pianeta) ci lecchiamo le ferite superficiali di una inspiegabile infelicità, mentre una massa informe di nostri fratelli e sorelle bussa e urla con veemenza alle nostre porte.

Ed è proprio lì, nel cogliere e amplificare quelle urla, nel fissarci gli occhi aperti come Kubrick per assimilare e digerire la nostra inconscia Arancia Meccanica d’Occidente che intervengono loro, i Dellarabbia.

Un collettivo, per dirla come quando fuori c’era il sole dell’impegno. Il collettivo musicale formato dal cantautore Marco De Vincentiis, dall’autore e compositore Americo Roma, dal polistrumentista ed orchestrale Adamo Fratarcangeli, dal produttore e batterista Federico Garofali, dal chitarrista Piergiorgio Tiberia e dal bassista Paolo Notarsanti. Il collettivo che, con il lavoro “L’Era della Rabbia”, ha compiuto quell’impresa che aspettavamo da anni: fondere nelle sonorità Indie la denuncia sociale del cantautorato che ha fatto scuola in Italia e, che, negli anni, ci ha aiutato a scegliere sempre e comunque da che parte stare: quella degli ultimi.

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Un album dirompente e potente, che mette a nudo senza pietà le storture che camminano sottopelle alla nostra società, avvelenandola d’odio, razzismo e indifferenza ogni giorno di più.

Ma i Dellarabbia non hanno fatto “solo” questo, anzi. Hanno osato, andando ad urlare sotto l’Olimpo della strafottenza con la voce di chi è relegato a morire ai margini.

E per il loro lancio nel panorama di chi deve essere ascoltato, hanno scelto di schierarsi fieri lì, proprio lì, sulla linea di confine dell’ultimo miglio d’Europa e (in)civiltà.

“Viviamo in tempi strani, tempi scomodi, tempi orribili”, raccontano con la voce rotta “dellarabbia”.

“Abbiamo scelto l’unico brano dell’album in cui abbiamo il piacere e l’onore di ospitare un featuring: Tommaso Cerasuolo, voce dei piemontesi Perturbazione, vera e propria leggenda dell’Indie italiano, che canta con “I Nostri Tempi”.

E non solo. Perché, per il video del brano simbolo, non si sono affidati al caso o ad effetti speciali. Perché gli effetti speciali più truci e violenti – basta saperlo – sono quelli che la realtà ci sbatte sotto il naso ogni giorno.

E allora, per incardinare ancora di più le loro parole – fissandole squarciandoci l’anima – hanno scelto delle immagini inedite e devastanti: quelle di Paolo Martino, documentarista e regista che esplora in prima persona le contraddizioni più buie del nostro tempo.

“Sono le immagini girate nel campo profughi di Calais, l’11 aprile 2017, proprio di fronte al muro costruito su suolo francese per impedire ai migranti di raggiungere l’Inghilterra”, ci racconta in prima persona.

“Dopo diversi tentativi di sgombero di un campo che conteneva 30000 persone”, continua, “si è accesa una miccia che somiglia moltissimo a tutto quello che sta accadendo in questi giorni nei confini orientali europei. La miccia è diventata un incendio che è divampato nel campo radendolo al suolo, tra scontri violenti con la polizia che sparava fumogeni ad altezza uomo ed i migranti in preda al panico.

migranti mediterraneo
migranti mediterraneo

L’assurdità è che, allora come oggi, i militari Europei, coloro che sarebbero preposti a proteggere i “nostri” valori e di diritti che da essi derivano, ingaggiano una battaglia contro persone disperate che scappano da una guerra e che, a loro volta, per sopravvivere sono costretti a combatterne un’altra.
Quello che si consuma da anni sulla pelle di queste persone è come se accadesse ad ognuno di noi. Anche la nostra società si sta disfacendo, sotto il profilo sociale ed economico, a loro è successo soltanto prima di quando non accadrà a noi. Siamo tutti sulla stessa barca ed è arrivato il momento di capirlo”.

Siamo tutti sulla stessa barca. E, se continuiamo così, affonderemo senza speranza.

Guardatelo, questo video. Ascoltate le parole, fatevi entrare dentro le immagini.

Vi ringrazio di cuore, Dellarabbia, come ringrazio di cuore Tommaso Cerasuolo e Paolo Martino.

Perché è proprio da questo video, da questo album, che il nostro impegno deve trovare ancora più forza nel quotidiano.

Guardatelo, e fatelo guardare. Perché nessuno possa dire “io non sapevo”.

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