I fratelli Bianchi nel mirino del boss albanese della droga a Roma

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-07-14

Quando entrambi erano rinchiusi a Rebibbia, prima della loro separazione, i due condannati per l’omicidio di Willy Monteiro avevano ricevuto minacce per via delle loro attività criminali a Velletri

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Subito dopo l’arresto per l’omicidio dei Willy Monteiro Duarte a Colleferro (per cui sono stati condannati, in primo grado, alla pena dell’ergastolo), il nome dei Fratelli Bianchi era finito all’interno delle conversazioni della malavita organizzata albanese che alimenta il suo business con lo spaccio di sostanze stupefacenti dal quartiere capitolino di Centocelle fino ai Castelli Romani. E da lì, come si evince da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali dei Carabinieri, sono partite le minacce nei confronti dei due fratelli di Artena. La loro attività di spaccio in quel di Velletri, infatti, aveva pestato i piedi a uno dei boss: Elvis Demce.

Fratelli Bianchi nel mirino della malavita organizzata albanese a Roma

Tutto parte dall’omicidio di Willy Monteiro. Come riporta il quotidiano La Repubblica, nella carte dell’operazione dell’antimafia emergono colloqui tra il 36enne Demce e uno dei suoi sodali: Francesco Bastianelli, detto “Bigis”. È proprio quest’ultimo a informare il boss albanese dell’arresto dei fratelli Bianchi per l’uccisione del 21enne di Paliano nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020. E Demce, secondo quanto emerso dalle indagini,

“invita Bigis ad informarsi sulle persone che sono state tratte in arresto e che spacciavano droga a ‘casa loro'”.

Secondo il boss albanese, infatti, i fratelli Bianchi stavano ostacolando i suoi affari. Il suo obiettivo, infatti, era quello di cancellare la “concorrenza” nel mercato dello spaccio di sostanze stupefacenti anche sui Castelli Romani. E la scoperta di due persone che smerciavano droghe in quel di Velletri ha provocato la sua irritazione. Con tanto di messaggi minatori trapelati nelle sue conversazioni dopo l’arresto dei due:

“Stanno al G9 (uno dei reparti del carcere di Rebibbia, ndr), magari a pizzicarli quei cessi veri che hanno fatto i danni a colori co quel ragazzino che hanno ammazzato”.

Parole a cui sono seguite delle indicazioni. Nel resto delle intercettazioni, infatti, viene dato mandato a un certo “Ciccillo” – presumibilmente un uomo vicino al gruppo criminale albanese, detenuto nello stesso penitenziario capitolino – di colpire i fratelli Bianchi. E anche i due – che all’epoca dei fatti erano ancora in attesa della sentenza di primo grado per l’omicidio di Colleferro – erano consapevoli del clima che avevano intorno. In alcune intercettazioni in carcere, infatti, i due fratelli si scambiavano messaggi di questo tipo:

“Devi stare attento, perché pure se dormi, quelli arrivano e ti zaccagnano”. Poi mi sento chiamà la mattina… ‘ao, a infame! A infame. Mannaggia.. ah infame! Mi hai spaccato il naso… il chiodo dentro al dentifricio… ogni cosa che succede, boom”.

Tutto ciò prima della sentenza di primo grado e prima che i due fratelli venissero separati. Oggi, infatti, i due si trovano in due penitenziari diversi.

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