Germana Durando: il processo alla dottoressa del metodo Hamer per curare il cancro

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-03-07

Ieri in Aula ha testimoniato una delle amiche della donna morta per un melanoma. La storia dell’indagine e del processo

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La Stampa racconta oggi l’ultima udienza del processo per omicidio colposo nei confronti di Germana Durando, la dottoressa specialista in omeopatia finita a giudizio per aver causato la morte di Marina L. per un melanoma “curato” con le cure alternative. Ieri in Aula ha testimoniato una delle amiche di Marina:

L’amica In aula, Mirella cerca di mantenere per quanto possibile il distacco dalla vicenda. Racconta il rapporto di amicizia, fino all’epilogo, su un letto d’ospedale, il 24 settembre 2014. «Conoscevo Marina dal 1984-1985, la frequentazione era occasionale. Poi, nel 1991 abbiamo incominciato a lavorare insieme. Abbiamo stretto un’amicizia molto forte, è stata la mia testimone di nozze ed era madrina dei miei figli», spiega. All’inizio, Marina parlava del neo e della «mappatura dei nei, per tenerli sotto controllo. Ne aveva tanti».
E quando aveva notato che quello sulla scapola sinistra s’ingrossava, aveva deciso di «andare a Chivasso per una visita. Mi disse che il medico le aveva consigliato di farsi operare per toglierlo». Ma lei aveva deciso di parlare della questione «con Germana, la chiamava così. E lei le aveva detto di aspettare». Dopo una chiacchierata con la dottoressa Durando, Marina aveva «deciso di tenerlo, perché era bene non andare a togliere delle cose».

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Gli scambi di email tra Germana Durando e Marina L. rivelati da Repubblica nell’aprile 2016

Nel processo sono entrate anche le mail della Durando alla paziente nelle quali la dottoressa convince la donna a rifiutare le cure contro il cancro, utilizzando solo cure a base di gocce omeopatiche e un profondo lavoro psicologico con se stessa per sconfiggere quel tumore che la sta “mangiando”. La Durando voleva curarla con erbe e sedute basate sulla teoria di Ryke Geerd Hamer, la cosiddetta “Nuova Medicina Germanica” , fondata da un “medico antisemita e negazionista (attualmente latitante) inventore di una terapia “accusata di aver causato centinaia di morti” (Wired).

Fino a quel momento, Marina pareva risoluta. «Non discuteva tanto, era “tranchante”», ricorda Mirella. Fino a quando, il vaso della sofferenza è colmo e la spinge a confidare all’amica: «Il regalo più bello che potrei avere sarebbe che Germana mi dicesse di togliermi il neo». Quando accade, è troppo tardi. La cartella In questa vicenda c’è anche un «giallo». Riguarda la «cartella clinica» di Marina. «Nello studio medico non c’era. Abbiamo cercato ovunque», spiega il sovrintendente di polizia Marco Conti, che all’epoca aveva fatto la perquisizione nell’ambulatorio della dottoressa. Quella documentazione è sparita. Il medico ha detto di averla lasciata a Marina, ma a casa non c’era. Il fratello ha trovato soltanto un diario e poco altro. Ma perdere o anche distruggere quella «cartella clinica» non sarebbe comunque un reato: non è la documentazione di un ospedale o comunque di una struttura pubblica.

Il “metodo Hamer” – che non ha nessuna valenza scientifica, non ha ottenuto alcun tipo di riconoscimento dal punto di vista curativo e ha causato la morte di molti pazienti – consiste in cinque leggi biologiche; la prima recita che «le gravi malattie hanno origine da un evento di shock o trauma psicologico (“sindrome di Dirk Hamer”) che viene vissuta dall’individuo come acuto e drammatico». Molti casi in Italia sono finiti in tribunale.

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