Frank Van Den Bleeken e il diritto di morire (in prigione)

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2015-01-05

L’uomo, in carcere da molti anni, ha chiesto l’eutanasia. Si trova in galera per omicidio e stupro. E dice di non essere in grado di soffocare i suoi istinti. In autunno la sua richiesta è stata accettata. Morirà la prossima domenica

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Frank Van Den Bleeken aveva chiesto di morire qualche anno fa. Lo scorso settembre la sua richiesta era stata accolta. Morirà il prossimo 11 gennaio.
 
CHI È FRANK VAN DEN BLEEKEN
È un uomo che sta in galera da 30 anni per omicidio e stupro, senza aver mai invocato attenuanti, anzi ammettendo più volte di non essere in grado di controllare la violenza e di essere convinto che si comporterebbe allo stesso modo se ne avesse l’occasione. Ha detto di essere un «pericolo per la società». Rispetto alla richiesta di morire, ha detto che non capiva il senso di passare il resto della sua vita in carcere, «seduto a decompormi fino alla fine dei giorni».
Frank Van Den Bleeken 2
 
LA LEGGE BELGA
Il Belgio è uno dei paesi in cui l’eutanasia è legale. Dal 2002 è lecito chiedere di morire se le sofferenze fisiche e psichiche sono tali da essere giudicate (dal diretto interessato e solo da lui) insopportabili. Non c’è nessuna lista di vite indegne o da eliminare, ma ognuno può decidere della propria esistenza. Nel caso di patologie psichiche – oltre alle polemiche che alcuni sollevano anche riguardo a quelle fisiche – la difficoltà sta nell’accertare la capacità di intendere e di volere del richiedente e quella di capire le conseguenze della richiesta, che sono condizioni necessarie affinché la richiesta sia presa in considerazione. Il piano giuridico deve vedersela insomma con quello psichiatrico, e i confini non possono che essere nebbiosi in alcune circostanze. Ciò basterebbe a negare la legittimità della richiesta? E, nel caso di Van Den Bleeken, siamo di fronte a una condizione rimediabile, curabile, reversibile? L’eventuale diritto di morire è considerabile tra i diritti che anche i detenuti mantengono o tra quelli che perdono insieme alla libertà e a tanti altri?
 

2002-2001, Belgio
2002-2001, Belgio

 
IL DIRITTO DI MORIRE È UN DIRITTO FONDAMENTALE?
La domanda può essere posta in generale e in particolare. Per chi lo ammette in generale, rimane da rispondere se vogliamo attribuirlo anche ai detenuti (per chi lo nega in generale non c’è altro da aggiungere: la vita è un dono di cui non possiamo liberarci. Mai, né fuori da cittadini liberi né in galera). In autunno, quando la richiesta dell’uomo è stata accettata, alcuni hanno sottolineato il rischio di usare la storia di Van Den Bleeken per non garantire i diritti ai detenuti, cioè le cure e le condizioni di vita che meritano di ricevere. Altri hanno insistito sulle circostanze che avrebbero spinto l’uomo a fare una simile richiesta, dimenticando però che le circostanze non sembrano modificabili (come lo stesso Van Den Bleeken ha ripetuto). I condizionamenti non sono eliminabili nemmeno fuori dalla galera: malattie, dolori, sofferenza. I condizionamenti rientrano tra le motivazioni che ci spingono a chiedere di morire. Van Den Bleeken merita di ottenere quello che ha chiesto? «Sono un essere umano e, nonostante quello che ho fatto, rimango un essere umano. Quindi sì, concedetemi l’eutanasia», aveva detto. Per rispondere di no servirebbero ragioni diverse dalla vendetta, che è comprensibile umanamente («Lui deve marcire in galera e basta. Per sempre», dicono le sorelle di una delle vittime) ma non vale come argomentazione e stona con la considerazione della detenzione come riabilitazione e protezione delle altre persone dal soggetto pericoloso. Intanto altri 15 detenuti hanno fatto la stessa richiesta.
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LA PENA DI MORTE
Avvenire (Belgio, eutanasia su richiesta per l’ergastolano, 3 gennaio 2015) così commentava due giorni fa: «Permesso purtroppo accordato: l’esecuzione del condannato (perché si tratta, a tutti gli effetti, di morte per mano dello Stato all’interno di un carcere) avverrà nel penitenziario di Bruges domenica 11 gennaio. Abolita come segno di civiltà, la pena di morte rientra così dalla finestra dei cosiddetti “diritti civili”, tra i quali (anche in Italia) si sta tentando di catalogare anche la morte a richiesta. Una richiesta che lo Stato, anziché fermare trovando una soluzione umana a una tragedia personale, ora ha deciso di assecondare assumendosene la responsabilità morale e materiale. Nel 2013 i belgi che hanno ottenuto l’eutanasia sono stati 1.807, ben il 27% in più dell’anno precedente. Da pochi mesi nel Paese che per primo al mondo ha legalizzato la morte procurata, nel 2002, è possibile far accedere alla procedura eutanasica anche i bambini». Ciò che distingue la pena di morte dal diritto di morire (fuori o dentro il carcere) è la volontà del diretto interessato. La posizione di Avvenire è chiara: non esiste il diritto di morire. Lo ribadisce anche oggi (Eutanasia in carta da bollo, 5 gennaio 2015). Ciò che è meno chiaro è perché dovremmo tutti pensarla allo stesso modo, soprattutto considerando che – come sempre – un diritto non deve essere esercitato per forza.
Eutanasia in carta da bollo, Avvenire, 5 gennaio 2015
Eutanasia in carta da bollo, Avvenire, 5 gennaio 2015

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