Francia e Italia hanno finito di litigare sulla Libia?

di Armando Michel Patacchiola

Pubblicato il 2019-04-07

La Guerra in Libia non s’ha da fare. O almeno è quello che trapela dalle cancellerie occidentali. Francia e Italia, due delle nazioni europee più coinvolte nella gestione della Libia post-Gheddafi, avrebbero trovato una posizione comune

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La Guerra in Libia non s’ha da fare. O almeno è quello che trapela dalle cancellerie occidentali. Francia e Italia, due delle nazioni europee più coinvolte nella gestione della Libia post-Gheddafi, avrebbero trovato una posizione comune. La notizia è che Parigi starebbe tentando di mettere un freno ad Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, la zona est del Paese, quella più ricca di giacimenti petroliferi. Si tratterebbe, almeno a parole, di un cambio di rotta. Forte, infatti, è il sospetto che dalla Francia qualcuno abbia segretamente tirato le fila della rivolta contro Fāyez Muṣṭafā al-Sarraj, il “sindaco di Tripoli”, il nomignolo affibbiatogli dai suoi denigratori per evidenziare la debolezza nel controllo del territorio occidentale della Libia. Serraj rimane il capo della formazione “Alba Libica”, quella che nonostante perda pezzi, ancora sostiene il governo di Tripoli, dei due al potere quello ufficialmente riconosciuto e sostenuto dalla comunità internazionale. Non è un caso che Sarraj abbia convocato l’ambasciatrice francese Beatrice du Hellen a Tripoli per protestare delle intromissioni transalpine.

Francia e Italia hanno finito di litigare sulla Libia?

Da quando giovedì le truppe di Khalifa Haftar hanno conquistato Gharian, una cittadina a cento chilometri da Tripoli, e si sono dirette verso l’aeroporto internazionale, chiuso dal 2014 ma ancora un centro di interesse strategico, in Italia, ma non solo, è salita l’allerta. In un’intervista apparsa su “ Il Foglio” Lia Quartapelle (PD), esponente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, ha accusato il ministro degli Interni Matteo Salvini e il Governo Conte in generale, di essere poco impegnati sul fronte libico, dove “’Italia conta sempre meno, anche in uno scenario in cui dovrebbe essere protagonista”. L’esponente dem ha aggiunto che nonostante i buoni propositi dell’Esecutivo, che si sono concretizzati nella conferenza di Palermo dello scorso Novembre, “non riferisce in Parlamento su quanto succede in Libia dallo scorso settembre”. Segno che il tentativo “siciliano” di incidere più del summit parigino, e di riappropriarsi quindi dello scacchiere libico, tanto ambito per i risvolti economici ed energetici dai francesi sin dalla caduta di Muhammar Gheddafi, non ha avuto confronti di spessore. Lo scontro tra Francia e Italia è totale e la Libia, assieme al tema dei migranti, rappresenta uno dei punti di maggior frizione tra Roma e l’Eliseo. Venerdì a Parigi il capo del Viminale si è incontrato con il suo omologo francese Christophe Castaner. Toni distesi ma anche di circostanza quelli tra i due ministri. Castaner, che ha accusato le Ong di essere complici dei “passeur”, è un fedelissimo di Emmanuel Macron, uno dei principali bersagli del governo gialloverde. Buoni segnali da Dinard, dove si è tenuto un altro incontro G7, questa volta tra i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone. Lì il titolare della Farnesina assieme a Jean-Yves Le Drian ha concordato che in Libia siano in atto “sviluppi drammatici” e assieme al titolare di Quai d’Orsay, pur senza mai citare direttamente Haftar, ha chiesto di interrompere gli interventi militari verso Tripoli.


Qualcosa si muove. Come ricorda Arturo Varvelli dell’Ispi, Kalifa Haftar “gode del supporto economico emiratino, e probabilmente saudita, e di quello militare russo, che è presente in Libia con diversi mercenari del gruppo Wagner, ma anche sul supporto politico e probabilmente di intelligence dei francesi”. Italia e Francia, alle prese con le loro scaramucce, rischiano di perdere geopoliticamente la guerra di posizione in Libia. Tutto questo a favore della Russia, che punta all’”oro nero” libico e a rivaleggiare con l’Unione Europea nel mercato energetico, e che attraverso il ministro degli Esteri Lavrov, in visita in Egitto, ha invitato ad evitare ingerenze straniere durante la contesa. Secondo gli esperti, le petro-monarche, assieme al Cremlino e all’Egitto, starebbero puntando forte sul più grande giacimento petrolifero africano, quello libico, e vedono in Haftar, il “cavallo” su cui hanno puntato i francesi, un valido alleato. Tutto questo sotto lo sguardo distratto di Washington, che da quando c’è Donald Trump ha mostrato un graduale disinteresse per il Medio Oriente. Tripoli non fa eccezione. Washington ha però recentemente nominato Richard B. Norland, un diplomatico di lungo corso, ambasciatore straordinario e plenipotenziario in Libia. Forse in un tentativo di vederci chiaro su cosa sta accadendo in Libia, visto che l’Italia (pro-Serraj), da sempre è ritenuta dagli alleati americani il principale referente per la Libia, ma negli ultimi tempi sembra non aver più il pieno controllo di una situazione, tutt’altro che stabile. A fare l’ago della bilancia tra i due governi libici in lotta, oggi, è ancora una volta Misurata, che combatte al fianco di Tripoli. Haftar dovrà faticare un bel po’ per sconfiggere la tribù che uccise Gheddafi, nonostante che nella sua avanzata da est a ovest l’ex generale del dittatore libico abbia guadagnato il supporto di nuove tribù. Il rischio è che i due schieramenti si prolunghino in nuovi sanguinosi scontri, che favoriscano le avance economiche salafite e minino il processo di pace in atto da tempo, allontanando la Libia dalla sfera di influenza europea e occidentale. Precauzionalmente l’Eni, la multinazionale energetica italiana e l’unica azienda rimasta in Libia dopo la caduta di Gheddafi, ha annunciato di aver evacuato il personale in Libia. Contestualmente anche altri imprenditori stranieri hanno abbandonato il Paese. La tensione è palpabile. La buona notizia è che l’inviato dell’Onu in Libia Ghassan Salamé ha confermato che la prossima settimana la conferenza di Ghadames, in programma dal 14 al 16 aprile. La lunga marcia verso le elezioni, e la pace, nonostante i tentativi di Tobrouk non sembrerebbe essersi fermata. Ne gioverebbe sia la Francia che l’Italia. In un paese bisognoso di rivitalizzare l’economia e che però, negli anni della crisi, ha visto sprofondare le esportazioni ai minimi storici, c’è spazio per tutti. Italia, Francia e Russia.

foto di copertina via instagram

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