Federica Vecchini: l'infermiera accusata di aver dato morfina a un neonato

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-08-04

Quella notte il bambino ha avuto una crisi respiratoria e uno dei due medici presenti ha filmato con il cellulare cosa stava succedendo per mandarlo al collega neurologo e avere un parere urgente

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Federica Vecchini, infermiera 43enne, è la donna accusata di aver somministrato morfina a un neonato nella notte tra il 19 e il 20 marzo, nel reparto di pediatria neonatale del policlinico di Borgo Roma, a Verona. Ora si trova agli arresti nel carcere di Montorio. In servizio all’Azienda ospedaliera da circa vent’anni, viene descritta dai colleghi come«brava, competente, e amante dei bambini».

Federica Vecchini: l’infermiera accusata di aver dato morfina a un neonato

Per l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Elvira Vitulli, Vecchini ha somministrato morfina al neonato (un mese di vita, nato prematuro ma in dimissione il giorno dopo) perché non smetteva di piangere. Anzi, era «rognoso», nelle parole riferite da una collega: «Mi ha detto “è rognoso, così gli ho dato il ciuccio”». Quella notte, il bambino ha avuto una crisi respiratoria, così grave che qualcuno ha pensato a una crisi epilettica, e uno dei due medici presenti ha filmato con il cellulare cosa stava succedendo per mandarlo al collega neurologo e avere un parere urgente.

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Foto da: Corriere della Sera

Federica Vecchini ha “ordinato” il Naloxone, e l’altra dottoressa presente — valutata la situazione — ha confermato e prescritto il farmaco, antagonista della morfina. Il bambino ha reagito benissimo, dopo un attimo ha cominciato a respirare da solo.

Gli indizi e le prove

Contro di lei, spiega oggi Brunella Giovara su Repubblica, ci sono quattro indizi:

La sicurezza con cui ha “ordinato alla collega e al medico intervenuto” di somministrare la dose di Naloxone necessaria a salvare la vita al bambino: «Fagli 0,5 più soluzione fisiologica!». La dottoressa intervenuta nell’emergenza di quella notte si è fidata e ha prescritto quella precisa dose.
Solo dopo, le ha chiesto come avesse fatto a indovinare la terapia. E lei ha spiegato che, data l’esperienza, aveva subito capito che si era davanti a un caso di overdose, e che quella era la quantità necessaria, visto il peso del paziente eccetera. Ma si arriva presto all’indizio numero due: interrogata durante l’inchiesta interna dell’ospedale, Federica nega. «Io ? Ma non sono stata io a dare quell’indicazione, sarà stato l’altro medico, se non la dottoressa».

federica vecchini policlinico borgo roma verona
Ma tutte le testimonianze sono univoche: i due medici e le tre altre infermiere ricordano benissimo quell’”ordine” e quel dosaggio preciso:

E c’è un terzo elemento, non da poco. Solo lei quella notte «aveva movimentato dei farmaci oppioidi, necessari ad un altro paziente», un bambino affidato proprio a lei. Quindi Federica aveva firmato il “registro di movimentazione stupefacenti” del reparto, aveva somministrato il farmaco al suo paziente, poi, poi non si sa ancora cosa sia successo, ma di certo si sposta dal suo box, va nel box 1 dove la collega si è appena assentata, e che al ritorno la trova con il neonato in braccio, e testimonia: «Ha detto che era rognoso, e così gli aveva dato il ciuccio.
Poi l’ha rimesso giù. Poco dopo è iniziata la crisi respiratoria». Infine, il quarto indizio. Un’altra collega ha ricordato una confidenza di Federica: «Io a volte uso la morfina o la benzodiazepina, per farli stare tranquilli. Anche senza prescrizione».

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