Erdogan, l’uomo che voleva mediare per la pace Russia-Ucraina, torna a invadere il Kurdistan

di Enzo Boldi

Pubblicato il 2022-04-22

Nel silenzio generale e con l’attenzione mediatica calamitata da quel che succede in Ucraina, la Turchia ha ricominciato la sua offensiva nel Kurdistan iracheno. E gli espedienti dialettici per “giustificare” tutto ciò sono gli stessi usati da Putin

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Solo qualche settimana parlava e faceva parlare i suoi ministri offrendo location per i negoziati di pace tra Russia e Ucraina. Sembrava che le sorti del conflitto dipendessero anche dal lavoro del suo staff e del coinvolgimento della Turchia scesa in campo per farsi promotrice del cessate il fuoco. E mentre accadeva tutto questo, con i riflettori spostati tra Kyiv e Mosca, Erdogan aha ordinato ai suoi militari di ricominciare la nuova offensiva nel Kurdistan iracheno. Un anno dopo la precedente operazione militare (anche in quel caso, ad Ankara non si parla né di invasione né di guerra) terminata a causa dello scarso equipaggiamento (e preparazione) delle truppe turche.

Kurdistan iracheno nuovamente invaso dai militari turchi

Le caratteristiche di questa nuova offensiva turca contro il Kurdistan ricordano molto da vicino le “giustificazioni” date dalla Russia fin dall’inizio dell’invasione e della guerra contro l’Ucraina. Se da una parte si vuole “denazificare” un Paese (con riferimento al battaglione Azov), dall’altra c’è la scusa del voler porre fine all’esistenza PKK etichettata come organizzazione terroristica. E nei giorni scorsi è ripresa questa operazione turca nel Kurdistan iracheno, con le forze armate inviate da Erdogan che hanno iniziato la loro offensiva nelle regioni di Zap, Metina e Avaşîn.

“Ripuliremo le terre dell’Iraq dal terrorismo e garantiremo la sicurezza dei nostri confini”, ha dichiarato il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan annunciando l’inizio dell’operazione “Claw-Lock” che segue quelle avviate negli anni scorsi (Claw-Lightning” e “Claw-Thunderbolt”) che si sono fermate a causa della scarsa preparazione (anche in termini di equipaggiamento) dei militari turchi ad affrontare le temperature e le intemperie invernali. Parole che sembrano essere un copia&incolla, attualizzato a una situazione e a un’area geografica diversa, di quelle pronunciate da Vladimir Putin all’alba del 24 febbraio, quando le prime truppe russe varcarono i confini dell’Ucraina da Nord (anche con la sponda della Bielorussia) e da Est.

Dinamiche simili, molto simili. Quasi uguali. Stesso tipo di narrazione e dialettica per annunciare due operazioni militari in terra straniera. Da una parte la “denazificazione”, dall’altra l’annullamento di una “forza terroristica”. Metodologie specchio che evitano sempre di utilizzare parole che meglio racconterebbero quel che sta accadendo: guerre e invasione. E mentre l’attenzione mediatica si è – giustamente – spostata su quel che sta accadendo in Ucraina e tutti i suoi riflessi, Erdogan ha fatto ripartire la sua offensiva nel silenzio generale. Con la Turchia, a differenza della Russia e dell’Ucraina, che fa parte dei 30 Stati membri della Nato.

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