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E anche Renzi adesso si incazza con la Consulta
neXtQuotidiano 09/05/2015
Il guaio delle pensioni fa innervosire il premier. Che si troverà adesso a dover recitare la parte del cattivo. Mentre la soluzione al problema della perequazione arriverà a giugno. E scontenterà giocoforza qualcuno
Anche Renzi si incazza con i giudici. Con quelli della Corte Costituzionale, ad essere precisi, e a causa della famosa sentenza sulle pensioni che ha aperto un buco di 19 miliardi di euro nei conti, che il governo è determinato a coprire solo in parte e subito dopo le elezioni regionali. «Un danno per il paese», è il giudizio del premier riportato da Francesco Verderami oggi sul Corriere della Sera.
E ADESSO RENZI SI INCAZZA CON LA CONSULTA
L’incazzatura arriva per una serie di ragioni, spiega il Corriere. In primo luogo perché la sentenza è arrivata “a sorpresa”, ovvero senza essere prima annunciata alle altre istituzioni dalla Corte Costituzionale, che avrebbe così, secondo il premier, rotto il patto di collaborazione tra organi dello Stato:
Sono molte le ragioni che hanno indotto il premier a questo convincimento. Certo si è infuriato per l’assenza di etichetta istituzionale della Corte, che ha violato il patto di collaborazione tra organi dello Stato,tenendo il governo all’oscuro del verdetto, e suscitando a Palazzo Chigi molti interrogativi estranei alle logiche giurisprudenziali. E non c’è dubbio che l’emergenza economica provocata dalla sentenza sia un fattore rilevante. Ma non il più importante, secondo il leader del Pd. A suo giudizio infatti la vicenda rischia di produrre un grave effetto, un processo cioè di «deresponsabilizzazione in chi governa», perché di qui in avanti verrebbe offerto un alibi a quanti — in futuro — decidessero di «scaricare» sui loro successori eventuali falle di gestione: «Tanto la Corte sentenzierà fra qualche anno…».
E in effetti la possibilità di legiferare lasciando al successore il problema di far quadrare i conti poi è un’obiezione valida: pensate soltanto un attimo alla vicenda dei vitalizi e a quanto sarebbe stato popolare toglierli a tutti e poi prendersela con i tribunali che li avrebbero ripristinati. In ogni caso adesso il problema c’è e lo deve risolvere il suo esecutivo. Con l’aggravante che la misura che prenderà sarà in ogni caso impopolare:
Anche se gli resta un dubbio che somiglia tanto a una polemica: «Ci fosse stato qualcuno della minoranza del mio partito, in questi giorni, che avesse detto qualcosa… No che non l’hanno detta, allora — da Bersani a Letta — tutti votarono a favore del provvedimento di Monti». Lui che ha scommesso sul «ritorno al primato della politica» è gioco forza costretto a pagare la cambiale che gli impone di cambiare corso. E non sarà facile. Perché Renzi finora aveva interpretato un unico ruolo. Vestendosi da rottamatore, riformatore,innovatore, al dunque aveva offerto al Paese sempre lo stesso, identico profilo: nella sua narrazione era il «buono» che si proponeva di cambiare il sistema politico con l’Italicum e la riforma del Senato, che si distingueva per misure di equità fiscale con gli ottanta euro,che puntava al rilancio della scuola con centomila nuovi assunti. Adesso,per effetto di una sentenza della Consulta, gli toccherà la parte del «cattivo», a cui spetterà decidere quanti (e quanto) riceveranno ciò che la Corte stabilisce essere un loro diritto.
Proverà a fare di necessità virtù, già sta pensando alla controffensiva mediatica per limitare i danni. Ma è consapevole che saranno molti gli scontenti, e che forse il suo provvedimento finirà di nuovo sotto la lente di osservazione dei giudici costituzionali. È questa l’altra metà del«danno», stavolta alla sua immagine e al suo modo di proporsi all’opinione pubblica: perché sa che toccare le pensioni significa disorientare i cittadini, provocare un abbassamento del livello di affidabilità dello Stato, innescare un meccanismo di sfiducia e d’incertezza per il futuro. Tutto il contrario di quanto si è proposto di fare da un anno a questa parte, con le dosi massicce di ottimismo che non ha mai smesso di somministrare.
COSA SI FA CON LA SENTENZA SULLE PENSIONI
Nel frattempo i tecnici studiano una soluzione al problema. Ma la via del ‘ridare tutto a tutti’, nonostante il pressing di opposizioni e sindacati (e le prime diffide del Codacons verso l’Inps già partite), sembra sempre meno percorribile. A prevalere sarebbe invece l’opzione di porre dei limiti ai rimborsi, se si vuole mantenere l’impegno, più volte professato e ribadito anche oggi dal ministero dell’Economia, di rispettare i termini della sentenza ma “minimizzando” l’impatto sulla finanza pubblica e “nel rispetto degli obblighi imposti dalle regole Ue”. Quello di non sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil, in primis – che rispetto alle previsioni del Def, consentirebbe un margine di manovra di 7-8 miliardi – ma anche di procedere con l’aggiustamento strutturale e con il calo del debito. La Commissione in ogni caso, fa sapere un portavoce, non prevede “scadenze” per avere indicazioni e che le raccomandazioni Ue in arrivo nei prossimi giorni terranno in considerazione “solo ciò che ci sarà comunicato fino a quel momento”. Il caos pensioni, insomma, potrebbe non incidere sulla ‘pagella’ europea, anche se qualche ‘sottolineatura’ potrebbe esserci. E se è possibile che Padoan approfitti della trasferta a Bruxelles di inizio settimana per Ecofin ed Eurogruppo per avviare scambi informali con i suoi colleghi e con i commissari, non dovrebbe arrivare alcuna comunicazione ufficiale al riguardo. Anche perché il provvedimento con cui rimediare al pasticcio delle pensioni dovrebbe arrivare dopo la tornata elettorale (quindi all’inizio di giugno). In questo modo, tra l’altro, l’esecutivo – che martedì prossimo si presenterà intanto per la prima volta in Parlamento a riferire sul tema – avrà più tempo per studiare da un punto di vista giuridico la soluzione. Perché il primo vero cruccio, viene riferito da più parti, è quello di evitare di finire di nuovo sotto scacco sui profili di costituzionalità. E’ su questo che si starebbero adesso concentrando gli approfondimenti tecnici, che starebbero scandagliando tutte le pronunce delle supreme corti – non solo la Consulta, ma anche la Cassazione – per soppesare bene tutti i precedenti in materia previdenziale e di rimborsi e capire quale può essere la soluzione che ha maggiori chance di reggere dal punto di vista giuridico. Insomma, prima la norma inattaccabile e poi, sulla base di questa, la caccia alle risorse necessarie. Fermo restando che soldi per tutti difficilmente si troveranno. Certo, più prudente sarebbe prevedere un risarcimento esteso e diluito nel tempo, sostanzialmente rateizzato, visto che anche secondo alcuni giuristi la scelta di non risarcire tutti gli aventi diritti per motivi di tenuta economica potrebbe prestare il fianco a ricorsi e persino a un futuro nuovo rinvio alla Consulta. Ma può essere un rischio calcolato – è il ragionamento – anche quello di confezionare un provvedimento che preveda di restituire la rivalutazione mancata alle pensioni fino ad un determinato tetto e non sopra. Intanto sul tavolo le opzioni su cui si stanno facendo calcoli e simulazioni restano molte, ma prende piede l’idea di prevedere a tutti un rimborso per intero della sola quota al di sotto delle tre volte il minimo (la stessa soglia che non era stata toccata dalla norma del Salva Italia per chi si fermava a quel livello di assegno) e mantenere invece il blocco dell’adeguamento sulle quote percepite superiori (oppure un meccanismo di decalage fino ad azzerarlo sopra 5 o sopra 8 volte il minimo). Il meccanismo, insomma, funzionerebbe come gli scaglioni Irpef, assicurando, è il ragionamento, la progressività.