L’anziana che muore dopo essere finita nel reparto dei malati di Coronavirus alla Don Gnocchi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-17

La donna era ricoverata al Niguarda dal 29 gennaio, in gravi condizioni per quella pancreatite che l’aveva portata a subire tre interventi chirurgici, l’intubazione, la terapia intensiva. Solo che dopo era scoppiata l’emergenza Covid e per lei, lì, non c’era più posto. Per liberare posti letto era stata portata al Palazzolo-Don Gnocchi

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Il Fatto Quotidiano racconta oggi la storia di Maria Felicia Pinto, morta l’8 aprile all‘Istituto Palazzolo Don Gnocchi dopo essere stata ricoverata, nonostante non fosse malata di COVID-19, in un reparto con 39 pazienti su 40 affetti da Coronavirus:

Maria Felicia aveva anche la febbre. Aveva anche un “piccolo impegno ai polmoni”: così lo aveva definito il medico di turno dell’Istituto Palazzolo, lo stesso che alla figlia aveva detto, poche ore prima e senza tanti giri di parole: “Signora, parliamoci chiaro, in questo reparto su 40 pazienti 39 sono positivi al Covid, tranne sua madre. Se risultasse ancora negativa al tampone sarebbe meglio saperla a casa che qui dentro”. Maria Felicia morirà la mattina dell’8 aprile, stroncata da una pancreatite necrotica emorragica ma forse anche dal virus contratto proprio al Palazzolo di Milano, una delle strutture –comprende una Rsa e una casa di cura –che fanno capo alla Fondazione Don Gnocchi: aveva 78 anni, nessuna patologia cronica.

UN DRAMMA finito in un verbale della Questura, dove la figlia, Daniela Conte, ha presentato denuncia. “Ora sto valutando anche un esposto per ricostruire la catena degli errori –dice Daniela –. A partire dalla Regione Lombardia, per le sue delibere, per arrivare all’ospe dale Niguarda e al Palazzolo”.

istituto palazzolo don gnocchi maria felicia pinto

La donna era ricoverata al Niguarda dal 29 gennaio, in gravi condizioni per quella pancreatite che l’aveva portata a subire tre interventi chirurgici, l’intubazione, la terapia intensiva. Solo che dopo era scoppiata l’emergenza Covid e per lei, lì, non c’era più posto. Per liberare posti letto era stata portata al Palazzolo: in fondo, un via libera c’era già, con la delibera della Regione che disponeva il trasferimento di pazienti nelle Rsa:

 Maria Felicia era lucida, sempre attaccata allo smartphone per poter parlare con la figlia. “Non mi è stato restituito”, dice Daniela. “Né il suo telefono, né il cavo lungo che le avevo comprato per consentirle di averlo sempre in carica”. All’ospedale Niguarda è il 12 marzo quando la caposala le dice che sua madre deve essere dimessa, mentrela dottoressa la rassicura, le spiega che nelle sue condizioni, dopo un’altra tac, servono come minimo altre due o tre settimane di monitoraggio.

Ma l’emergenza incombe e pochi giorni dopo, il 18 marzo, Maria Felicia viene trasferita al Palazzolo. A Daniela crolla il mondo addosso, si sente abbandonata. È al Palazzolo, dove la ricoverano nell’unità operativa di Medicina, che la donna viene sottoposta al primo tampone che risulta negativo. Il secondo non verrà mai eseguito. Difficile parlare con i medici.

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