Dino Mocciola: chi è l’ultras della Juventus arrestato

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-09-16

Il nome più famoso è indubbiamente quello di Mocciola, capo assoluto dei Drughi e già finito in carcere all’inizio degli anni Novanta. Le indagini sulla morte di Bucci

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Dino Mocciola, Salvatore Cava e Umberto Toia e Beppe Franzo sono alcuni degli ultras della Juventus arrestati con le accuse di spaccio e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, corruzione, falso ideologico e associazione a delinquere nell’inchiesta Last Banner della Digos di Torino. Il nome più famoso è indubbiamente quello di Mocciola, capo assoluto dei Drughi e  già finito in carcere all’inizio degli anni Novanta per aver ucciso durante una rapina un carabiniere, oltre che considerato uno dei responsabili delle infiltrazioni della ‘ndrangheta in curva. Insieme a loro sono finiti in galera Domenico Scarano, Luca Pavarino e Sergio Genre. Per Fabio Trincchero, Giuseppe Franzo, Christian Fasoli e Roberto Drago sono stati disposti i domiciliari. La misura cautelare dell’obbligo di dimora invece è stata disposta per Massimo Toia e Massimo Corrado Vitale.

 

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Dino Mocciola e gli altri: chi sono gli ultras della Juventus arrestati

Sono complessivamente 37 le persone indagate nella maxi operazione condotta dalla Digos di Torino nei confronti di gruppi ultrà in tutta Italia. Di queste 6 persone sono in carcere, 4 ai domiciliari mentre per due é scattato l’obbligo di dimora. Tutti gli indagati sono colpiti da provvedimento Daspo fino a un massimo di 10 anni. Nel corso delle indagini sono state fatte 225 mila intercettazioni. Tra il materiale sequestrato oltre a striscioni, stendardi, magliette, un bassorilievo raffigurante il volto di Mussolini e una targa con medaglia al ‘Miglior capo’ ritrovata nella casa del leader dei Drughi Gerardo Mocciola. Nella sede dei Drughi, a Moncalieri (Torino), la polizia ha sequestrato bandiere e striscioni con simboli nazisti e fascisti, bassorilievi che rappresentano Benito Mussolini, calendari e quadri del Duce.

dino mocciola ciccio bucci drughi

Il nome di Mocciola comincia a girare nella vicenda dei biglietti dello Stadium alla ‘ndrangheta dopo la morte di Raffaello Bucci detto Ciccio, che si è buttato da un viadotto della Torino-Savona (lo stesso dove nel 2000 perse la vita Edoardo Agnelli, figlio dell’Avvocato) dopo la sua deposizione nelle indagini su una associazione ‘ndranghetista che arrivava fino a Torino. Da un anno Bucci era diventato consulente per la sicurezza della biglietteria Juve; il pm Monica Abbatecola e il capo della mobile di Torino Marco Martino durante l’interrogatorio avevano avuto l’impressione che Ciccio fosse stato molto reticente. «Da quando è morta sua mamma, Ciccio è cambiato. Si stava separando dalla moglie», aveva fatto sapere però al Corriere della Sera il fratello della vittima, Gianni Bucci. E proprio nell’inchiesta sui possibili legami tra mafie e curva bianconera la Procura di Torino aveva convocato come testimone il leader storico dei «Drughi», Dino Geraldo Mocciola, 52 anni, che non si era presentato ed era diventato un ricercato.

dino mocciola ciccio bucci

Il giorno dopo Mocciola era stato rintracciato dai carabinieri. All’epoca Dino Mocciola sarebbe stato l’arbitro delle contese tra i tifosi della Juventus, scoppiate dopo la scelta di Bucci come referente da parte della società. Qualche tempo dopo la figura di Mocciola divenne centrale nell’inchiesta di Report su Juve e ‘ndrangheta. Il servizio metteva in luce tra le altre, la figura di Bryan Herdocia detto “Lo squalo”: 12 anni di Daspo, un arresto nel 2015 dopo una rissa coi tifosi della Fiorentina, una perquisizione nella quale gli vengono sequestrate due pistole, una mazza da baseball, un coltello e 80 carte d’identità false.

Secondo la testimonianza dello stesso Herdocia, soprannominato Lo Squalo,  le carte d’identità false servivano per intestare i biglietti per lo stadio a gente inesistente ed erano fatte così bene che nonostante il Daspo gestisce ancora tutto direttamente da casa sua. La tecnica della carta d’identità falsa serviva ad aggirare il metodo del biglietto nominale che nelle intenzioni dei gestori dell’ordine pubblico negli stadi sarebbe servito a evitare fenomeni come quello del bagarinaggio, oltre che per rendere più facili i controlli e le punizioni in caso di disordini negli stadi. Nell’intervista Bryan Herdocia raccontava anche chedi aver venduto 13 biglietti per la finale di Champions League tra Juventus e Barcellona, dal prezzo nominale di 220 euro, a 1500 euro. Herdocia sosteneva anche di aver reperito i biglietti “direttamente dalla curva”, ovvero che gli erano stati consegnati dagli ultras che a loro volta li ricevevano dalla società. E sulla questione della ‘ndrangheta e di Rocco Dominello rispondeva: “Io so che quando ho piazzato i biglietti nel 2015 fuori dal Bernabéu, ho piazzato dei biglietti per loro, perché quando Pippo che mi dava i biglietti era nervoso perché un aereo è arrivato in ritardo e la gente non arrivava e servivano subito i soldi, era andato in tilt perché mi diceva: “Tu lo sai di chi sono questi biglietti? Ma tu lo sai questi soldi a chi vanno? Ma se questi non arrivano in tempo e non pagano poi qua finisco male…”.

Le indagini sulla morte di Bucci

Nel 2017 Gabriella De Bernardis, ex compagna di Bucci, chiese la riapertura delle indagini sulla morte dell’uomo dopo la scoperta che Bucci era un confidente dei servizi segreti per le connessioni tra ultrà ed estrema destra. “Ci sono troppe incongruenze in questa vicenda – diceva l’avvocato Verra, che assisteva la donna -. A iniziare dalle lesioni all’occhio e alla mandibola sul corpo di Bucci, incompatibili con la caduta in cui ha perso la vita. Lesioni che fanno pensare a un pestaggio, che però non sappiamo collocare. “Raffaele non si è suicidato. Semmai è stato indotto al suicidio – diceva l’ex compagna -. Non era il tipo di buttarsi giù dal ponte. Qualcuno l’ha spinto a farlo. Io, lo scorso luglio, ero in vacanza e l’ho sentito la sera prima della sua morte. Mi ha chiesto scusa, ma non mi ha spiegato nulla. Non voleva parlarne per telefono. Era stanco, agitato”. La donna sapeva poco della vita dell’uomo, che da un anno collaborava con la Juventus. “Non mi raccontava della curva, probabilmente per proteggermi. Anche quando nel 2014, dopo essere stato picchiato, era stato costretto ad allontanarsi da Torino per un anno, mi aveva solo detto che c’erano delle invidie”.
ciccio bucci agente segreto
E nella storia c’era anche un giallo che riguarda un borsello. “Non se ne separava mai. Ma quando è morto gli investigatori non l’hanno ritrovato nella sua auto. A Gabriella, però, era stato consegnato da Alessandro D’Angelo, security manager della Juventus che ha detto di averlo trovato nella macchina. Un’incongruenza che bisognerebbe spiegare”.

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