Della Valle, Montezemolo, Marchionne: il coma profondo del capitalismo italiano

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-09-09

La polemica tra i tre dice molto della borghesia italiana e della sua attuale inadeguatezza. Ma se il Salotto Buono non esiste più e gli insulti reciproci assomigliano ad autobiografie…

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Ha ragione il governatore della Toscana Enrico Rossi quando dice che la rissa tra Diego Della Valle, Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne dice molto del capitalismo italiano. Più dell’analisi dei bilanci di società morte o miracolate dall’aiuto dei salotti buoni, più delle indagini della magistratura (e ovviamente di quelle della Consob), più di una ricerca di Mediobanca. Più, e c’è da dirlo, di quanto hanno detto i giornali e i giornalisti italiani quando era il momento di dirlo (e il fatto che molti si sfoghino oggi spiega anche che il problema dell’editoria italiana rimane sempre attuale).
 
IL SONNO PROFONDO DEL CAPITALISMO ITALIANO
Della Valle, nella sua guerra povera alla famiglia Agnelli, rimane colui che diceva in giro di voler comprare Rcs e poi, quando era il momento di mettere mano al portafogli, ha scritto a Giorgio Napolitano chiedendogli di espropriare la società in nome del bene pubblico. Montezemolo, poverino – criticarlo ricordando le sue decisioni imprenditoriali ormai è come sparare sulla Croce rossa. Marchionne, tra i tre, è quello che ha più capito come evolvevano i tempi e ha trasformato la Fabbrica Italiana Automobili Torino in un hedge fund dell’automotive, e ora sta giustamente passando all’incasso. Stamattina il Corriere della Sera richiamava i due litiganti e gli chiedeva, guarda un po’, responsabilità:

Da cronisti dobbiamo registrare un tasso di litigiosità del nostro capitalismo che sorprende per continuità e veemenza. Sergio Marchionne e Diego Della Valle rappresentano due realtà industriali pienamente coinvolte nella sfida globale, due aziende che hanno come primo riferimento il mercato nelle vesti di un cliente finale sempre più «infedele» ed erratico nelle sue scelte. Ma oltre a battersi ogni giorno per migliorare la propria offerta, per salire nella catena del valore, per incrociare le formule commerciali più convenienti, Marchionne e Della Valle hanno un peso nella formazione dell’opinione pubblica che va ben al di là del fatturato che fanno registrare nella penisola. Quando uno dei due parla l’attenzione è elevata, il confronto con la politica diventa immediato e stringente e come è naturale che avvenga fioriscono anche i retroscena e le interpretazioni più varie.
Insomma, anche se non va più di moda parlare di borghesia perché siamo diventati una società poliarchica, i due rappresentano delle «voci forti». Orientano oppure dividono, ma non passano mai inosservati. Per questo motivo su di loro ricade in qualche maniera una responsabilità che oseremmo definire «pubblica». Le classi dirigenti di questo Paese in un momento così complicato non possono dimettersi.

Belle parole, che nascondono quanto non si può dire. Ovvero che il momento così complicato è responsabilità proprio di quelle classi dirigenti che oggi fischiettano (nella maggior parte dei casi) o litigano su sciocchezze come queste. E soprattutto: è difficile non notare che la FCA ex FIAT è qualcosa di profondamente diverso da LCdM: lui è l’ultimo rappresentante della Famiglia Agnelli e di una fabbrica che non c’è più; il manager col pullover vuole la Ferrari come fiore all’occhiello della Fiat quotata sui mercati internazionali e ormai del tutto slegata da famiglie, città, paesi e soprattutto sindacati.

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Quando finisce un amore (vignetta di Artefatti)

 
IL SALOTTO BUONO CON LE PEZZE AL CULO
Su Montezemolo basta invece ricordare quanto scritto da Matteo Spaziante su Libero oggi:

Il budget della squadra infatti in queste stagioni ha superato il miliardo di euro, fermandosi poco sopra la cifra tonda. Andando in ordine, la Ferrari ha stanziato circa 200 milioni per il 2011, 300 milioni annui per il 2012 e il 2013, infine oltre 400 per la stagione attualmente in corso. Il totale parla di 1,2 miliardi utilizzati per la gestione sportiva, una cifra ovviamente non sperperata ma totalmente coperta con sponsor, premi e altro ancora. Nonostante questo, però, il fallimento è evidente: a Maranello sono stati spesi 200 milioni per ogni singola vittoria, poco meno di un milione per ogni punto conquistato (ad oggi 1291) dai vari Raikkonen, Massa o Alonso.

In bocca al lupo con Alitalia, allora. Ma queste, tutto sommato, sono strategie che interessano relativamente visto che presuppongono anche e soprattutto il distacco dell’azienda dalle beghe italiane. E quindi anche da quel capitalismo che la crisi ha addormentato, anestetizzato e avvolto in un sonno profondo mentre i suoi rappresentanti più disastrati venivano accompagnati alla porta dal “mercato, bellezza” che era talmente libero da essere diventato capace di intervenire solo e solamente quando i castelli di carta finanziaria messi su a partire dagli anni Novanta non sono stati più in grado di reggere. Da qualche anno il bersaglio preferito della borghesia italiana è diventato la politica nullafacente – inutile ricordare come nacque il termine “casta” per indicare la classe politica: dal titolo di un libro dei giornalisti del Corriere Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo – e in maniera anche molto sospetta. Perché l’accusa di non fare abbastanza, come spesso càpita, è talmente generica che spesso nasconde un “per noi” nemmeno troppo sottinteso. D’altro canto, quando leggiamo quello che dice Della Valle a proposito di Marchionne


…non possiamo non pensare che basterebbe cambiare il nome di partenza e la frase sarebbe adattabile a uno qualunque dei nostri capitalisti. Della Valle compreso, ovviamente.
 
I SUCCESSI ALTRUI
Perché è difficile non rendersene conto: durante il suo ultimo intervento a Otto e Mezzo Don Diego, che sta sperimentando le volte in cui l’insuccesso dà alla testa con NTV, ha scelto come bersaglio grosso il monopolista per spiegare i risultati della sua azienda. E fin qui, niente di nuovo. Poi però ha continuato accusando l’ex a.d. Mauro Moretti di avere ancora le mani in pasta nelle Ferrovie e di esserne il dominus, condendo così il suo intervento con una dose di complottismo talmente ampia da far dubitare della sua lucidità nell’occasione. E qui non c’è QE che tenga: nemmeno Draghi può utto. Il selfie del capitalismo italiano è ancora più brutto di quello della Vecchia Europa. Ma il guaio è che prescindendo da quella parte del paese sarà impossibile svegliarsi da questo sonno che sembra un coma profondo. A meno che non arrivi la trojka a spazzare via tutto.

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